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Rinunciare a Napoli: la lettera amara dell’ex Rabbino Capo Scialom Bahbout

Aldo Torchiaro

Tempo di Lettura: 3 min
Rinunciare a Napoli la lettera amara dell’ex Rabbino Capo Scialom Bahbout

Ha deciso di restituire la cittadinanza onoraria ricevuta da Napoli. Non lo fa per polemica, né per calcolo politico, ma per un dolore profondo, che affonda le radici nella memoria, nella storia e nell’identità. È la voce dignitosa e composta del *prof. rav Scialom Bahbout, già Rabbino Capo di Napoli e del Sud Italia, che ha inviato una lettera al sindaco **Gaetano Manfredi, con oggetto: **la rinuncia alla cittadinanza napoletana*.

Una decisione grave, dolorosa. E — a leggerla senza pregiudizi — anche tristemente giusta.

Bahbout aveva accolto quel riconoscimento «con spirito di orgoglio e responsabilità». Responsabilità «quale rabbino capo in una realtà dialogante e che guardava al Mediterraneo aspirando giustamente a un ruolo centrale anche di pacificazione». E orgoglio, «perché mi consentiva di essere parte di una comunità che aveva costituito una città aperta e tollerante», una città che — ricorda — «è stata, con il ghetto di Varsavia, unica in Europa a sollevarsi da sola e con le armi contro assassini crudeli, sterminatori e oppressori».

C’è tutto, in queste parole. La storia personale di un uomo che arrivò a Napoli nel 1953 «quale profugo dalla Libia», e che da allora non ha mai smesso di sentirsi parte di quella città «che mi accolse» e che «ho servito nel ruolo ricoperto».

Ma oggi qualcosa si è rotto. A infrangere il legame è stato un voto del Consiglio comunale partenopeo, che ha approvato una mozione di *boicottaggio nei confronti di Israele*. Un atto simbolico — si dirà — ma profondamente divisivo. Un atto che ferisce. E che nella lettura di Bahbout equivale a una sconfessione dei valori fondanti della Napoli che fu.

«Oggi un recente voto del Consiglio che Ella presiede», scrive rivolgendosi al sindaco, «promuove un boicottaggio contro l’unica democrazia del Medio Oriente e, sposando facili quanto falsi slogan, calpesta le gloriose, spontanee ed eroiche gesta della città». Ma è la riga successiva a pesare come un macigno: «Con tale voto l’amministrazione napoletana ha inteso appoggiare assassini criminali e terroristi che hanno gli stessi scopi e metodi di quelli che furono cacciati dalla popolazione nel 1943».

Una dichiarazione durissima, che non ha il tono dell’invettiva, ma quello — più grave ancora — della disillusione. Di chi constata che la città che gli conferì la cittadinanza non esiste più, o almeno non nella sua amministrazione attuale.

E allora la scelta è inevitabile. Dolorosa, sì, ma inevitabile. «Non intendo, quindi, essere più cittadino di una città che rappresenta, da parte di chi la amministra, l’esatto contrario di quella che mi conferì la cittadinanza». Una città che oggi — a giudizio del rabbino — «persegue l’opposto di quei valori di Libertà, Giustizia e Verità che ne fecero un faro tra le genti».

«Le comunico quindi la mia volontà a rinunciare alla cittadinanza di Napoli», conclude. «Tanto Le dovevo».


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