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VIAGGIO NELL’UEA (Unione Europea Antisemita) – Finlandia: per gli ebrei è meglio nascondersi

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 5 min
VIAGGIO NELL’UEA (Unione Europea Antisemita) – Finlandia: per gli ebrei è meglio nascondersi

L’illusione è andata a pezzi come un vetro colpito da una sassata. E la sassata ha una data: 7 ottobre 2023. Dopo quel giorno maledetto anche la Finlandia, paese fino ad allora lontano dall’emergenza antisemita e con una comunità ebraica minuscola (tra lo 0,02% e lo 0,05% della popolazione) non può più pensare a se stessa come a un territorio garantito e sicuro.

E’ successo qui quello che è avvenuto in molte altre democrazie europee: il massacro perpetrato da Hamas contro civili israeliani e la successiva risposta militare a Gaza hanno smosso le ceneri sotto cui continua ad ardere un odio antico, prima negato o tutt’al più bisbigliato, oggi esibito nelle piazze e strillato dagli schermi televisivi, sulle pagine dei social e dei giornali, nelle scuole, nelle assemblee sindacali e persino nei parlamenti di democrazie sempre più malridotte e suicidarie.

Nel novembre 2023, ignoti vandalizzano la recinzione esterna della sinagoga di Helsinki, imbrattando con vernice spray le lapidi del cimitero ebraico ricoprendole di trivialità e simboli pro-Hamas. A gennaio 2024, durante una manifestazione filo-palestinese convocata nel centro della capitale, un oratore paragona impunemente la comunità ebraica nazionale al “braccio culturale del colonialismo sionista”. Ormai è conclamato, le fogne sono saltate.

Nel 2024, il governo finlandese ritiene essere giunto il momento di predisporre un rapporto nazionale sulle percezioni della discriminazione da parte della comunità ebraica. Un piccolo passo, ma pur sempre meglio di niente. Il documento, redatto dall’Istituto per i Diritti Umani della Finlandia e da ricercatori dell’Università di Helsinki, registra esiti da capogiro: l’83% degli ebrei finlandesi percepisce in modo netto un’ostilità montante; il 70% paventa aggressioni fisiche e verbali; l’85% ritiene che il clima nei media e nei social network sia apertamente maldisposto verso gli ebrei e lo Stato d’Israele. Più della metà degli intervistati confessa amaramente di evitare di indossare simboli ebraici in pubblico – come la kippà o la Stella di David – per paura di essere insultati se non aggrediti fisicamente. E’ successo e può sempre ripetersi.

La risposta del governo di Petteri Orpo – il più a destra degli ultimi decenni – è ispirata alla cautela: vengono stanziati circa 150.000 euro l’anno per rafforzare la sicurezza attorno a sinagoghe, scuole e centri comunitari, in particolare a Helsinki. Ma nessuno sembra intenzionato ad adottare un piano nazionale contro l’antisemitismo, come già raccomandato – invano – dalla Commissione Europea nel 2021. I rappresentanti della minuscola comunità ebraica, che oggi conta circa 1.300 persone, lamentano l’assenza di una strategia chiara, educativa e preventiva. Qualcuno, con cinismo, li deride: gli ebrei del paese sono pochi, poco contano, e ancor meno sono amati.

La società civile reagisce in modo ambivalente. Alcune organizzazioni per i diritti umani, come la Finnish League for Human Rights e il Forum per il Dialogo Interreligioso, condannano l’antisemitismo con parole nette ma l’accademia e il mondo della politica faticano a prendere posizione. In certi casi succede persino il contrario: in diverse università, gruppi studenteschi promuovono mozioni per il boicottaggio accademico di Israele. Manifestazioni filo-palestinesi si svolgono davanti all’ambasciata israeliana a Helsinki, con slogan che vanno ben oltre la critica politica e scivolano apertamente nell’odio verso ebrei e sionisti.

Alcuni sindacati e ONG della sinistra radicale diffondono documenti in cui le politiche israeliane sono equiparate all’apartheid. Secondo un rapporto interno dell’Associazione Ebraica Finlandese, è aumentato il numero di famiglie che rinunciano a partecipare ad eventi pubblici della comunità, per timore di diventare bersaglio. Aria infetta. Irrespirabile.

Il dato forse più rivelatore, e al tempo stesso più desolante, riguarda i bambini. Molti genitori preferiscono non mandare i figli a scuole riconoscibili come ebraiche o li dissuadono dal dichiarare la propria identità religiosa in ambito scolastico e i rabbini confermano un aumento delle richieste di sostegno psicologico da parte di adolescenti presi di mira. In un mondo dove basta dire “brutto ciccione” per essere messi alla gogna del politicamente corretto, se gridi “sporco ebreo” o “schifoso sionista” ricevi applausi, incoraggiamenti e perfino pacche sulle spalle.
La Finlandia, storicamente attenta ai diritti umani e al buon funzionamento democratico, oggi si trova a un bivio: riconoscere e affrontare in modo sistemico e istituzionale l’antisemitismo che si insinua nel tessuto sociale, oppure lasciare che la paura quotidiana diventi la nuova normalità per una delle sue minoranze più antiche e vulnerabili.

Magari con l’illusione di poterne uscire indenni, fingendo di ignorare che, una volta aperto il varco all’intolleranza antisemita, l’intera società – come ogni democrazia liberale – verrà ferita al cuore. Altro che renne da salvare, ghiacci che si sciolgono o educati dibattiti sull’opportunità di festeggiare il Natale cristiano. Altro che diritti delle donne e conquiste civili.

Tornano, inquiete e inquietanti, le parole di Publio Cornelio Tacito: Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant di solito tradotte con “hanno fatto un deserto e lo chiamano pace”. Quel sostantivo – solitudo – è però qualcosa di più e di peggio: non deserto ma vera desolazione, terra svuotata, assenza di civiltà e di vita.


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