Di fronte all’avanzata dell’odio, la memoria sembra avere la durata di un post social. In un’Europa che si vanta di essere figlia dell’Illuminismo e delle carte dei diritti umani, l’antisemitismo si ripresenta non come spettro ma come corpo vivo, aggressivo, insinuante. Non è più solo il vandalismo delle svastiche sui muri delle sinagoghe o l’insulto sussurrato dietro le spalle. È nei talk show, nelle aule universitarie, nei cortei di piazza dove il vecchio odio di classe si deforma oggi in sentimento antiebraico.
La crisi non è episodica, è sistemica. “Quando gli ebrei vengono attaccati, è l’intera civiltà che vacilla”, scriveva Jean-Paul Sartre in Riflessioni sulla questione ebraica. Eppure vacilla eccome. A Berlino, a Parigi, ad Amsterdam, a Londra: gli episodi si moltiplicano e tracciano una linea rossa tra passato e presente. Non è un ritorno del passato: è la sua mutazione.
Dopo il 7 ottobre 2023 e le drammatiche vicende in Medio Oriente, l’Europa è entrata in una nuova fase, dove la critica legittima alle politiche israeliane scivola troppo facilmente nell’odio identitario. “L’antisemitismo ha sempre trovato nuove maschere per giustificare se stesso”, ammoniva George Steiner, uno dei più lucidi interpreti del secolo breve. “Oggi si chiama antisionismo”. La distinzione, semantica e morale, si fa più che mai urgente.
Secondo lo storico Yehuda Bauer, già consulente dello Yad Vashem e memoria critica dell’Olocausto, “l’Europa non ha mai davvero fatto i conti con l’antisemitismo profondo, quello culturale, trasmesso nei secoli come un virus mutante”. Le leggi, i monumenti, i giorni della memoria non sono bastati a estirpare la radice, che ora trova terreno fertile in frustrazioni sociali, crisi migratorie e un risentimento diffuso verso le élite, di cui l’ebreo torna a essere il capro espiatorio ideale.
C’è poi una degenerazione colta, sottile, che serpeggia in certi ambienti progressisti, tra rivendicazioni di giustizia che si trasformano in teoremi cospirazionisti. Lo ha scritto il giornalista britannico David Baddiel nel suo libro Jews Don’t Count: “In molti ambienti di sinistra, essere ebrei non ti rende mai abbastanza vittima. Sei troppo bianco, troppo ricco, troppo occidentale”. È l’antico pregiudizio che si veste da ideologia identitaria.
L’Europa che ha inventato Auschwitz è anche quella che ha elaborato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Ma oggi non servono più treni per deportare: bastano i like, gli hashtag, gli street artist. L’ebreo torna a essere bersaglio, non per ciò che fa, ma per ciò che rappresenta. Per quel che è.
C’è un’opera di vigilanza che non può essere delegata solo alle comunità ebraiche, spesso lasciate sole a combattere una battaglia che dovrebbe appartenere a tutti. “L’antisemitismo è il laboratorio di ogni odio politico”, scriveva Hannah Arendt. Se l’Europa lo tollera, allora non è più il continente della ragione, ma l’anticamera di nuove barbarie.
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