Il 30 giugno le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno annunciato una riorganizzazione dei percorsi di accesso ai centri di distribuzione degli aiuti nella Striscia di Gaza. La decisione è stata presentata come parte di uno sforzo più ampio per ridurre gli attriti con la popolazione civile e garantire che gli aiuti raggiungano i destinatari previsti, evitando che finiscano sotto il controllo diretto dei terroristi. L’apparato di difesa israeliano concentra sempre più risorse sulla separazione tra Hamas e la popolazione di Gaza. Il sistema attuale di distribuzione degli aiuti è concepito anche come un mezzo per indebolire Hamas e migliorare le condizioni per un possibile recupero degli ostaggi ancora detenuti nell’enclave palestinese.
All’interno di questo meccanismo, coordinato dall’organizzazione umanitaria americana Gaza Humanitarian Foundation (GHF), in collaborazione con gruppi internazionali, le IDF consentono operazioni civili autonome, mantenendo tuttavia una presenza costante nelle aree operative per impedire interferenze da parte di Hamas. Israele effettua controlli e revisioni continue per migliorare l’efficienza, aumentare la sicurezza e proteggere sia gli operatori umanitari sia i civili. Le modifiche annunciate includono la creazione di nuove recinzioni e perimetri di sicurezza, la realizzazione di percorsi alternativi per i veicoli, l’installazione di segnaletica e barriere fisiche, oltre a una ristrutturazione interna dei centri che consente di visualizzare dall’esterno la quantità rimanente di pacchi di soccorso. Tutti interventi, spiegano le autorità israeliane, finalizzati a impedire infiltrazioni e saccheggi e a ostacolare il tentativo di Hamas di impadronirsi degli aiuti per rafforzare il proprio controllo politico.
La distribuzione sul campo è gestita principalmente dalla GHF, l’organizzazione sostenuta da fondi statunitensi, che ha già distribuito oltre 51 milioni di pasti in quattro centri attivi a rotazione. Secondo GHF, l’11 giugno dieci operatori locali sono stati uccisi da uomini armati riconducibili ad Hamas, mentre si dirigevano verso un centro di distribuzione. L’attacco è avvenuto dopo una serie di dichiarazioni pubbliche del gruppo islamista e dei suoi alleati che avevano minacciato apertamente chiunque collaborasse con “i piani del nemico”. In un comunicato Hamas aveva definito “obiettivi legittimi” tutti i collaboratori della GHF. L’organizzazione statunitense ha anche denunciato l’esistenza di taglie poste da Hamas sul proprio personale, inclusi operatori americani, e la presenza di uomini armati nei pressi delle aree di distribuzione, con l’obiettivo di intimidire e destabilizzare l’operazione.
“Hamas vuole controllare anche l’ultima briciola di pane”, ha affermato a media arabi un operatore internazionale che preferisce mantenere l’anonimato. Nonostante le minacce, la GHF ha ribadito la volontà di proseguire le sue attività. Intanto Hamas ha istituzionalizzato il proprio apparato repressivo interno con l’unità Sahm – l’“Unità Freccia” – un gruppo di sicurezza non ufficiale nato nei primi mesi del 2024. I miliziani, vestiti di nero e con i volti coperti, sono comparsi nei mercati, presso panifici, distributori automatici e centri di aiuto. Inizialmente si trattava di ronde improvvisate che colpivano pubblicamente sospetti saccheggiatori. Oggi il gruppo opera con mandato formale. “L’unità Sahm è autorizzata a mantenere la sicurezza nella Striscia, soprattutto in tempo di guerra”, ha reso noto Abu Muhammad, funzionario del Ministero dell’Interno controllato da Hamas.
Da mesi, l’unità diffonde video tramite un canale Telegram ufficiale. Le immagini mostrano arresti, confessioni estorte, punizioni fisiche, esecuzioni. Non viene fornita alcuna prova concreta dei crimini imputati. Non esiste alcun processo. Le pene vengono eseguite sommariamente. Il 27 giugno, Sahm ha pubblicato un video in cui due uomini palestinesi accusati di furto venivano prima colpiti con armi da fuoco e poi picchiati. Pochi giorni prima, lo stesso gruppo aveva emesso un ultimatum contro 13 sospettati: dovevano consegnarsi entro 48 ore, altrimenti sarebbero stati condannati a morte in contumacia da un plotone di esecuzione. Il presunto crimine: un non meglio precisato “incidente” avvenuto all’ospedale Nasser.
È proprio lì, a Khan Younis, che il 26 giugno è esploso uno scontro violento. Secondo varie fonti, un membro del clan Barbakh sarebbe stato colpito a morte da un agente dell’unità Sahm. I miliziani si sarebbero rifugiati all’interno dell’ospedale, ma sono stati inseguiti da parenti armati della vittima. Ne è nata una sparatoria. Alcuni rapporti suggeriscono che Hamas avrebbe usato ambulanze per coprire la fuga dei suoi uomini, sparando contro le abitazioni del clan. I media palestinesi parlano di “azioni individuali”, ma il conflitto sembra più ampio: tensioni crescenti tra famiglie locali e l’apparato di sicurezza del gruppo islamista. Un canale Telegram vicino all’unità Sahm ha giustificato l’azione affermando che il membro della famiglia Barbakh era coinvolto nel furto di aiuti umanitari. Nessun dettaglio è stato fornito sulla sua sorte.
L’unità Sahm non si limita a colpire ladri o saccheggiatori. Da mesi prende di mira anche dissidenti, attivisti e semplici cittadini che osano protestare. Il 24 giugno le squadracce di Hamas hanno fatto sapere di aver inflitto una “punizione rivoluzionaria” ad Ahmed Muhammad al-Masry. L’uomo era stato localizzato a Beit Lahia e rapito. È stato torturato e poi gambizzato. Il suo crimine? Aveva mostrato in pubblico un cartello con la scritta “Hamas non ci rappresenta”. Hamas cerca di bloccare ogni iniziativa che non rientra nel suo perimetro di potere. Ogni sacco di farina distribuito senza il benestare dei terroristi palestinesi è un attacco a quel che resta del proprio dominio. E così la fame e la sete diventano armi. Al pari dello stupro.
Liberare Gaza da Hamas: il caso degli aiuti umanitari Liberare Gaza da Hamas: il caso degli aiuti umanitari Liberare Gaza da Hamas: il caso degli aiuti umanitari