Fra i passi salienti del libro Nexus di Harari, due in particolare mi sembra ci aiutino a capire la realtà di che caratterizza oggi l’informazione sul conflitto di Gaza.
crive Harari: “l’informazione non ha un legame essenziale con la verità e il suo ruolo nella storia non è quello di rappresentare una realtà preesistente. Il suo ruolo è piuttosto quello di creare nuove realtà legando insieme elementi diversi… La sua caratteristica distintiva è la connessione più che la rappresentazione; l’informazione è ciò che collega punti diversi in una rete. L’informazione non ci informa necessariamente sulle cose. Organizza piuttosto le cose in una qualche conformazione”.
Se guardiamo alle cronache dal 7 ottobre in poi ci accorgiamo che l’informazione sul conflitto si è via via liberata di dettagli importanti: i diversi ruoli delle parti in causa, la loro diversa natura, storia e attuali caratteristiche, i diversi obiettivi, le fonti di numeri e notizie. La guerra in atto è stata così spogliata della sua complessità storica e contestuale per essere conformata a una lettura semplificata, fatta di narrazioni lineari, basate sulle emozioni, l’indignazione, l’esaltazione del vittimismo, il conto dei morti, acritiche verso i movimenti proPal fino a farsi complice dell’antisemitismo che li caratterizza.
Una narrazione schiacciata sui buoni e i cattivi, fino a ripulire la scena arrivando a individuare un solo cattivo: Israele; una sola vittima: la popolazione civile palestinese. Israele è diventato così l’unico fra i contendenti al quale si chiede di fermarsi, di deporre le armi e trattare, avallando, inconsapevolmente o no, l’idea che il cosiddetto “asse della resistenza” sia veramente tale, cioè che Houti, Hezbollah, Hamas, Iran, hanno diritto di “difendersi“ dall’entità sionista, in quanto progetto colonialista, avamposto dell’imperialismo americano.
Sono uscite dalle cronache del conflitto le parole associate a terrorismo per descrivere Hamas, che invece viene citato solo come “gruppo islamico” formato da “miliziani” o addirittura come “movimento”, come se fosse il rappresentante di istanze accettabili provenienti dalla società civile palestinese. In questo modo Hamas ha perso la dimensione di gruppo ferocemente antisemita, che ha compiuto il pogrom del 7 ottobre massacrando 1200 persone e rapendone 251, che nella sua storia ha lanciato decine di migliaia di razzi in territorio israeliano e commesso centinaia di atti efferati contro i civili, essendo il suo obiettivo, scritto a chiare lettere e rivendicato dalla sua leadership, quello di cancellare lo Stato ebraico dalla faccia della terra. Ebbene le cronache giornalistiche semplificate fino alla tendenziosità sono state un fattore determinante per nascondere in due anni di guerra la vera identità, la storia e gli obiettivi di questo gruppo di spietati assassini stupratori rapitori, trasformandolo in un interlocutore credibile per la comunità internazionale.
Su questa strada si è persa la coscienza della gravità della questione ostaggi. Macabre rappresentazioni a parte, la liberazione di alcuni di loro viene descritta come uno “scambio di prigionieri” tra Israele e Hamas, equiparando detenuti processati da un sistema giudiziario di uno Stato democratico, con il rapimento di 251 israeliani e non, donne, uomini, bambini, soggetti a una violenza arbitraria senza limiti, trascinati per le vie di Gaza tra l’esultanza e le angherie della popolazione, tenuti in ostaggio in tenebrosi tunnel, torturati, uccisi in cattività.
Così è stata normalizzata anche la questione ostaggi, che dovrebbe essere considerata un crimine contro l’umanità continuazione del crimine contro l’umanità del 7 ottobre. Oggi, dei 50 tenuti prigionieri da più di 630 giorni, tra vivi e morti, si parla solo quando riaprono le trattative per una tregua: merce di scambio e nulla più. Le cronache riportano i numeri della merce, 10 vivi e 18 morti i in cambio dei “prigionieri” palestinesi. La violenza del rapimento, il mercanteggiamento sulle vite dei rapiti, le terribili condizioni di vita a cui sono sottoposti, l’assassinio a mani nude dei fratellini Bibas, le macabre sceneggiate dei rilasci, le storie orribili sulla loro prigionia che raccontano i rilasciati: nessuno sceneggiatore di film dell’orrore poteva immaginare un copione così crudele. Anche perché sono storie che non raccolgono audience.
Anche le fonti sono state smarrite per strada. Man mano che il colpevole Stato di Israele insisteva a voler fare la guerra nonostante i moniti della comunità internazionale, la stampa ha sentito sempre meno la necessità di verificare e citare le fonti, in modo tale da poter sparare i numeri delle vittime palestinesi in piena libertà. Quasi nessun cronista, almeno delle testate nazionali più importanti riporta ormai chi ha fornito loro la conta dei morti, quindi vengono fuori numeri inverificabili: 50mila, 60mila, 100mila… 70, 90, 120 morti conseguenza di nuovi raid israeliani, numeri senza fonte, senza distinzione fra combattenti e civili. Quelle poche volte che si riporta come fonte “il Ministero della sanità” viene aggiunto “locale” al posto di “controllato da Hamas”. Anche se qualche cronista, bontà sua, aggiunge “controllato da Hamas” non viene comunque messo in termini dubitativi il numero di vittime dichiarato da parte dei terroristi.
L’Idf spara sui civili in fila per ricevere gli aiuti umanitari: non è dato sapere da chi viene quest’informazione, che è successo in realtà, che verifiche sono state fatte. Molto spesso sono informazioni prese da Al Jazeera, la Tv del Qatar, stato che finanzia Hamas e che passa le veline dei terroristi come fossero verità assolute, ma nessuna cronaca nostrana lo ammette. Viene così esercitata una pressione sempre più potente sull’opinione pubblica, che funziona bene nell’aiutarla a guardare con crescente odio e raccapriccio l’operato del governo israeliano, accusato di usare una forza sproporzionata, quasi senza senso, nei riguardi della popolazione civile di Gaza “ormai allo stremo e sull’orlo della carestia”.
Vediamo, ad esempio, alcune delle cronache del 6 luglio sulle nuove prospettive di una tregua.
Agi titola: Nuovo round di colloqui a Doha. Netanyahu: “Inaccettabili le richieste di Hamas”. Sottitolo: ”Hamas apre ai negoziati” e poi precisa che “Il movimento islamista aveva precedentemente annunciato di essere pronto a iniziare immediatamente i negoziati…” Ma che diligenti questi terroristi! In un altro lancio Agi titola: “Raid di Israele su Gaza, almeno 17 morti tra bambini”, poi nel testo si precisa che lo riporta “l’agenzia di stampa Wafa, citando fonti mediche e testimoni oculari”. A nostra volta noi precisiamo che l’agenzia Wafa è il braccio informativo del governo di Gaza, ovvero di Hamas.
Il Corriere della Sera titola: “Israele respinge i punti di Hamas ” ed ecco l’attacco del pezzo: “A Gaza proseguono le stragi sotto le bombe: fonti locali riportano oltre 70 palestinesi morti nelle ultime 24 ore”. Fonti locali, quali?
La Repubblica titola: “Netanyahu gela Hamas: proposte inaccettabili, ma a Doha tratteremo”. I terroristi gelati nell’apprendere che Israele non accetta le loro proposte: si saranno poi messi a piangere? E infatti più in là nel pezzo c’è la conferma di quanto il cronista sia in grado di interpretare i sentimenti di Hamas, precisando che: “Hamas, tra le altre cose, teme proprio queste ultime ore prima della possibile tregua. Ieri per i bombardamenti dell’Idf si sono contati altri 70 morti” Chi li ha contati?
La Stampa scrive nel pezzo a proposito del negoziato: “Gli scogli da superare sono sempre gli stessi: Israele vuole lasciare aperta la possibilità di tornare a combattere nel momento in cui ritenesse che i termini dell’accordo siano stati violati o se si dovesse sentire in pericolo, mentre Hamas vuole un serio impegno per la fine della guerra”. Hamas è quindi la parte che seriamente vuole finire la guerra. Israele no.
Concludiamo rifacendoci ancora a quanto asserisce Harari: “Se non si adottano ulteriori misure per far pendere l’ago della bilancia a favore della verità, è probabile che l’aumento della quantità e della velocità delle informazioni sommerga le testimonianze veritiere, relativamente rare e costose, con tipi di informazioni molto più comuni ed economiche”. E’ quello che è successo, la verità sul conflitto di Gaza, nelle cronache nazionali non c’è più. C’è una nuova conformazione della realtà che normalizza la cattiveria di Israele ed eleva i terroristi islamici a interlocutore credibile, maschera l’antisemitismo dietro l’antisionismo che diventa così un’ideologia accettabile. Far emergere la verità sarà davvero un lavoro lungo e faticoso.
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