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Che cosa accadrà dopo l’ultimo incontro di Washington tra Donald Trump e Beniamin Netanyahu?

Massimo De Angelis

Tempo di Lettura: 3 min
Che cosa accadrà dopo l’ultimo incontro di Washington tra Donald Trump e Beniamin Netanyahu

Al termine della guerra dei dodici giorni con l’Iran e dei suoi straordinari successi, Netanyahu, in piena sintonia con Trump, ha dichiarato: «Dopo la forza, la pace».
Va ricordato che Israele, fin dalla sua nascita nel 1948, ha sempre perseguito la pace e costruito, ove possibile, relazioni positive con i Paesi mediorientali disposti a ricambiare.

La pace e un nuovo Medio Oriente rappresentano anche l’obiettivo dell’amministrazione Trump.
Oggi, forse più che in qualsiasi altro momento dal 1948, quel traguardo appare come una prospettiva realistica, da perseguire senza esitazioni.

Naturalmente ciò richiede, in primo luogo, un lavoro politico e diplomatico complesso con l’Iran, per spingerlo a rinunciare al programma nucleare, al sostegno delle milizie per procura e, soprattutto, al progetto di distruzione di Israele.
Questo obiettivo va perseguito con determinazione, lasciando da parte le retoriche su «regime change» ed esportazione della democrazia.

Ma poi, certo, resta da affrontare la questione di Gaza. È nauseante l’ipocrisia, e insieme la disinformazione sistematica, da parte dei palestinesi, delle Nazioni Unite, della Corte dell’Aja e di gran parte dei media europei, che continuano a considerare come unica fonte attendibile quella dei terroristi.

Occorre ribadire con forza che la responsabilità per l’alto numero di vittime e per la strategia della fame ricade su Hamas, sulla sua deliberata politica degli scudi umani, e non sull’esercito israeliano.

L’IDF può aver commesso errori, ma ha sempre aperto indagini interne. Come ha affermato un pastore evangelico a capo di un’agenzia umanitaria operante a Gaza, «l’unico che non ha mai sbagliato è stato Hamas: ha deliberatamente colpito civili palestinesi per demonizzare Israele e accaparrarsi gli aiuti, con la complicità dell’Onu, dei media e persino di alcuni governi europei».

Detto ciò, è indispensabile chiudere il conflitto il prima possibile. Su questo, Stati Uniti e Israele sono pienamente allineati.
Ma con alcuni punti fermi: Hamas può forse sottoscrivere un cessate il fuoco, può accettare il rilascio degli ostaggi, ma *non* può essere parte del processo di pace.

A Gaza, un cambiamento di regime è assolutamente necessario e non negoziabile.

La pace dovrà essere firmata da esponenti autentici della società civile palestinese, persone chiaramente distinte e distanti da Hamas, con il sostegno e la garanzia di Paesi arabi disponibili a cooperare in un serio processo di pacificazione.

In altri termini, è necessaria una convergenza tra Israele, Stati Uniti e Paesi arabi “volenterosi”, che proseguano lo spirito dei Patti di Abramo.
Assai meno auspicabile, invece, è la partecipazione di un’Unione Europea che si è dimostrata tutt’altro che volenterosa.

Tutto ciò in vista di un grande Medio Oriente fondato sulla pace e sullo sviluppo. Come era nei sogni di Shimon Peres, di molti israeliani e, oggi, dell’intero mondo ebraico.
Il passato, il presente e il futuro dell’ebraismo sono legati a doppio filo al Medio Oriente. Per questo è necessaria una pace autentica con arabi e musulmani.

*Un’ultima considerazione*: il processo sarà lungo, richiederà cooperazione economica, scambi tecnologici, convergenza politica.
Ma soprattutto, richiederà un autentico incontro tra religioni.

Non ci sarà riconciliazione duratura senza un dialogo profondo e sincero, senza una reale comprensione reciproca.
Questo punto va sottolineato con forza. E i cattolici, i cristiani, hanno un compito speciale e decisivo nel promuoverlo e facilitarlo.


Che cosa accadrà dopo l’ultimo incontro di Washington tra Donald Trump e Beniamin Netanyahu?
Che cosa accadrà dopo l’ultimo incontro di Washington tra Donald Trump e Beniamin Netanyahu? Che cosa accadrà dopo l’ultimo incontro di Washington tra Donald Trump e Beniamin Netanyahu?