Il Qatar sta costruendo una rete d’influenza nel Mediterraneo che unisce energia, media e infrastrutture. La Siria ne è diventata il simbolo.
A fine giugno, il governo siriano ha firmato un accordo da 1,5 miliardi di dollari con la società qatariota al-Maha International, legata a Doha, per realizzare il progetto Damascus Gate: una città della produzione cinematografica, mediatica e turistica, estesa su 2 milioni di metri quadrati, con oltre 4.000 posti di lavoro stabili e circa 9.000 stagionali. Set in stile arabo-islamico, studi all’avanguardia, attrazione per registi e creativi.
Il ministro dell’Informazione siriano ha parlato di «una piattaforma strategica per attrarre turisti, artisti e investitori». Ma l’obiettivo è soprattutto geopolitico: plasmare narrazioni, orientare percezioni, rafforzare consensi.
Il Qatar, però, non si limita ai media. Ha finanziato Hamas, la Fratellanza Musulmana e altri gruppi armati. Proprio a Doha sono state confezionate le pellicce da agnello che mascherano quei lupi palestinesi.
La propaganda travestita da giornalismo
Un rapporto pubblicato il 14 febbraio dal Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center descrive nel dettaglio la comunicazione diretta e la cooperazione tra Hamas e l’emittente statale qatariota Al Jazeera. Il documento analizza il programma investigativo Ciò che è nascosto è più grande, che avrebbe tentato di costruire una narrazione attorno alla presunta «vittoria» di Hamas a Gaza dopo l’inizio dell’attuale cessate il fuoco.
Il programma includeva interviste a membri delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam, con l’intento di presentare falsamente gli attacchi del 7 ottobre 2023 come «un’operazione militare giustificata», «intesa solo a colpire il personale militare israeliano e a rapire soldati, senza danneggiare bambini e anziani».
Ma i documenti rinvenuti dalle IDF raccontano altro. In particolare, emergono istruzioni esplicite da parte dei comandanti di al-Qassam a brutalizzare gli ebrei — militari e civili — «in nome dell’Islam». Tra il materiale sequestrato, anche un frasario arabo-ebraico con frasi come: «Togliti i pantaloni», «Ti ucciderò», «Uccideremo i prigionieri», oltre a comandi rivolti a uomini, donne e bambini tenuti in ostaggio.
Giornalisti o combattenti?
Secondo l’intelligence israeliana, almeno sei giornalisti di Al Jazeera operativi a Gaza erano anche membri attivi di Hamas o della Jihad Islamica: comandanti, tecnici delle comunicazioni, persino cecchini. L’emittente ha respinto le accuse, definendole «un attacco alla libertà di stampa».
Ma non è la prima volta che Al Jazeera finisce al centro di gravi contestazioni. In Egitto, tra il 2013 e il 2015, tre suoi reporter furono arrestati per diffusione di notizie false e per presunti legami con la Fratellanza Musulmana. In Israele, nel 2011, venne incarcerato il capo dell’ufficio di Ramallah per contatti sospetti con Hamas.
Come in ogni conflitto, anche in quello israelo-palestinese l’informazione è campo di battaglia. Il New York Times ha parlato di una «guerra mondiale di parole», con Russia, Iran, Cina e Qatar impegnati in campagne coordinate di disinformazione contro Israele. L’Unione Europea le definisce FIMI (Foreign Information Manipulation and Interference).
Emblematico il caso di Al Jazeera, quando diffuse un falso reportage su presunti stupri da parte di soldati israeliani all’ospedale Al Shifa. L’articolo fu poi rimosso. L’ex direttore ammise: era stato costruito ad arte. Intanto, milioni di utenti avevano già letto, condiviso e creduto.
Soft power, infrastrutture, energia
L’influenza del Qatar non si ferma ai media. A maggio è stato concluso un accordo energetico tra Doha e Damasco, con il coinvolgimento della Giordania e delle Nazioni Unite. Il piano prevede la fornitura di gas naturale, tramite la Qatar Fund for Development, alla Siria, passando per la Giordania, allo scopo di sostenere la rete elettrica siriana.
L’obiettivo è migliorare l’approvvigionamento energetico, con una produzione iniziale di 400 megawatt al giorno. Anche la Turchia sta ampliando la propria influenza, ripristinando il gasdotto Kilis-Aleppo per alimentare le regioni settentrionali della Siria, e valutando un ulteriore collegamento verso la provincia di Idlib.
Verso un nuovo crocevia energetico
Nel più ampio quadro strategico, si parla di un possibile rilancio del progetto Qatar–Turkey Pipeline. Le iniziative in corso potrebbero far emergere la Siria come crocevia energetico verso l’Europa. Tuttavia, questo scenario rischia di innescare tensioni tra i due principali produttori dell’area, Qatar e Iran, che condividono il giacimento South Pars/North Dome. Il gasdotto favorirebbe Doha, marginalizzando Teheran.
In questa riconfigurazione, anche la Russia sembra tagliata fuori. Ma l’esclusione potrebbe non durare: Mosca ha forti interessi nel mantenere l’influenza energetica in Europa, e le ambizioni qatariote rischiano di minacciare il monopolio russo. L’Unione Europea, pur non potendo sostituire del tutto il gas russo nel breve periodo, vedrebbe comunque nel gas mediorientale un’opzione strategica per la diversificazione.
Gli Stati Uniti, sebbene potenzialmente danneggiati nei propri interessi energetici, potrebbero sostenere il piano. Washington ha già aperto al dialogo, autorizzando l’accordo energetico tra Qatar e Giordania per il sud della Siria, e potrebbe giocare un ruolo decisivo nella futura ricostruzione energetica del Paese.
Il ritorno dello scenario del 2016
Questo riassetto riporta in primo piano scenari già noti. Nel 2016, Robert F. Kennedy Jr., su Politico, ricordava come il conflitto siriano sia esploso anche in seguito al rifiuto di Bashar al-Assad di autorizzare il passaggio del gasdotto qatariota verso la Turchia, per non danneggiare gli interessi di Mosca. Secondo Kennedy, quel rifiuto si trasformò presto in guerra.
Oggi, con l’Iran sotto pressione, la Russia isolata e l’Europa affamata di gas, il Qatar si ripropone come hub strategico. Investendo in media, cultura, infrastrutture e diplomazia.
Secondo il Global Soft Power Index 2025 di Brand Finance — che misura l’influenza internazionale di uno Stato — il Qatar è salito al 22° posto nel mondo e al 7° in Asia.
La Siria, da teatro di guerra a base operativa di Doha, ne è la nuova frontiera.
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