Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, questa volta ha dato seguito agli avvertimenti: ha ordinato il bombardamento dei principali siti nucleari iraniani a Fordow, Natanz e Isfahan.
Poche ore dopo, come spesso accade, ha dichiarato vittoria totale. Ha garantito che l’obiettivo era stato «obliterato» e che la teocrazia iraniana non avrebbe mai più tentato di dotarsi di un arsenale nucleare.
Parole affrettate. La CNN e il New York Times hanno presto rivelato che, secondo le prime valutazioni dell’intelligence americana, i danni inflitti dagli ordigni “bunker buster” ai siti di arricchimento dell’uranio erano in realtà *piuttosto limitati. Tanto più che nessuno, al momento, sa dove si trovino i **400 kg di uranio arricchito al 60%* in possesso dell’Iran, a un passo dalla soglia critica del 90% necessaria per costruire testate nucleari.
### Un colpo che allunga i tempi, non risolve la minaccia
Approfondimenti successivi hanno prodotto una stima più condivisa, ma non rassicurante: l’attacco avrebbe ritardato il programma nucleare iraniano *di circa due anni, non di più. È pur sempre qualcosa, ma forse non abbastanza per giustificare l’immediata apertura mostrata da Trump in direzione di **un alleggerimento delle sanzioni* e di un possibile ritorno al «business as usual» con Teheran.
Un Iran riaperto ai mercati internazionali, con *90 milioni di abitanti e immense riserve di petrolio, è evidentemente un’occasione ghiotta per l’economia americana. Trump, da sempre fedele alla sua visione «transactional», sembra attratto dalla possibilità di trasformare l’Iran in una **nuova opportunità commerciale*.
### Ma il regime non rinuncerà mai alla bomba
La vera domanda, tuttavia, è un’altra: la guerra con l’Iran è davvero finita? Oppure è soltanto rinviata, congelata in attesa di una nuova escalation?
La risposta, per molti osservatori, è negativa. Il regime teocratico al potere da 46 anni a Teheran *non vuole, né può rinunciare al nucleare*. L’energia civile è solo un pretesto. Nessuno nel mondo arricchisce uranio al 60% per fini pacifici. Tutti quelli che lo hanno fatto — dalla Cina all’India, dal Pakistan a Israele e alla Corea del Nord — lo hanno fatto per armarsi.
Molti servizi di intelligence occidentali ritengono anzi che i bombardamenti abbiano *rafforzato la convinzione dell’Ayatollah Khamenei* e delle Guardie Rivoluzionarie: solo il possesso dell’arma atomica può garantire *sopravvivenza e legittimità* alla Repubblica Islamica e agli interessi consolidati del regime.
### Gli esempi che parlano chiaro
Come dargli torto? L’Ucraina, che nel 1994 rinunciò al proprio arsenale nucleare con il Memorandum di Budapest, ha pagato con l’invasione russa.
La Libia di Gheddafi, che nel 2004 accettò di dismettere il programma nucleare segreto costruito con l’aiuto di Cina e Pakistan, fu bombardata e rovesciata appena sette anni dopo.
La Corea del Nord, invece, che ha sviluppato la bomba senza autorizzazioni, *non è mai stata attaccata*. Idem l’India e il Pakistan: mai sanzioni veramente incisive, mai interventi militari. Perché mai l’Iran dovrebbe aspettarsi un destino diverso?
### L’ombra lunga sull’Europa e su Israele
L’Iran, infatti, ha reagito. Il Parlamento ha approvato la *sospensione di ogni cooperazione con l’AIEA*, l’Agenzia ONU per l’Energia Atomica. Niente più ispezioni, niente più controlli.
Questo preoccupa prima di tutto *Israele, che gli ayatollah continuano a minacciare apertamente di cancellare dalla mappa. Ma anche le monarchie sunnite del Golfo, a partire dall’Arabia Saudita, che ha già annunciato che in caso di Iran nucleare **si doterà anch’essa di capacità atomiche*.
### La risposta americana: forte ma disallineata
Il bombardamento del 22 giugno è stato senza dubbio *necessario e opportuno. Ma la dichiarazione trionfalistica di Trump — «Non credo che l’Iran tornerà a essere coinvolto nel business nucleare» — è stata presto smentita da Khamenei, che ha ribadito che **Teheran non rinuncerà mai all’arricchimento dell’uranio*.
Il regime vuole l’atomica, anche per compensare i fallimenti economici interni e la lunga serie di sconfitte militari subite dai suoi proxy: Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, Assad in Siria.
Teheran è rimasta isolata, ma non per questo meno pericolosa. E Trump non può trasformare una *minaccia nucleare in una vetrina d’affari*.
### Nessuna strategia, solo reazioni
La seconda constatazione è che *la Casa Bianca non sembra avere una strategia di lungo termine* per contenere l’Iran. Trump minaccia nuovi attacchi aerei, ma non c’è un piano. E tutto lascia pensare che l’Iran riprenderà presto l’arricchimento.
Come ha sintetizzato Jake Sullivan, ex consigliere di Biden, in un’intervista al New York Times: «L’Iran dispone ancora di 400 kg di uranio arricchito, ha molte centrifughe attive e potrà procurarsene altre. E da ora in avanti, non ci saranno più ispettori dell’AIEA a controllare nulla».
### Israele e il rischio dell’illusione americana
In assenza di verifiche internazionali, torneremo a *inseguire ombre*: dove si trova quell’uranio? In quali siti sarà trasferito? A che punto sarà il programma?
Trump sperava in una soluzione rapida, ma non l’ha ottenuta. Una riflessione strategica seria richiederebbe almeno *due o cinque anni di pianificazione*, ma alla Casa Bianca sembrano mancare consiglieri capaci di proporla e influenzarla.
L’America, intanto, *non potrà che restare militarmente impegnata nella regione. Non solo per proteggere i suoi alleati arabi, ma per contenere un Iran che, nonostante i colpi subiti, continua a **fomentare terrorismo e instabilità*.
### La variabile Turchia
A complicare ulteriormente il quadro, la *Turchia di Erdoğan*, alleato ambiguo, autoritario e islamista, che Trump continua inspiegabilmente a blandire.
La retorica anti-israeliana del presidente turco crea *tensione tra alleati storici* degli Stati Uniti: Israele e Turchia erano un tempo partner nella difesa e nell’intelligence, oggi sono quasi nemici.
### Il prezzo della pace (finta)
Nel nuovo scenario, *Israele resta protagonista* e possibile vittima di entrambe le direzioni che la crisi può prendere: una nuova guerra, o una *finta pace* che consenta a Trump di dichiarare «mission accomplished» e fare affari con l’Iran.
Tel Aviv sa di non potersi fidare ciecamente di Washington. Per Israele, la priorità *esistenziale* è una sola: impedire che l’Iran arrivi alla bomba. Un Iran nucleare innescherebbe una *corsa atomica in tutto il Golfo Persico*, dove gli amici di Israele non abbondano, nonostante gli Accordi di Abramo.
### L’illusione dell’“America First”
Lo slogan *“America First”* sta già modificando i rapporti all’interno della NATO e in Ucraina. E non lascia presagire nulla di buono sul fronte del rapporto transatlantico.
In Europa, e soprattutto in Italia, c’è chi spera che si tratti solo di uno slogan. Forse è così. Ma nel frattempo *tiene svegli la notte* non solo gli alleati degli Stati Uniti, ma soprattutto chi, come Israele, si batte ogni giorno per la propria sopravvivenza.
Le sirene del petrolio iraniano e le pressioni delle grandi aziende americane si faranno sentire fino al numero 1600 di Pennsylvania Avenue. La speranza è che il presidente Trump *sappia resistere*, come Ulisse legato all’albero della nave.
Sperando, davvero, che *non sia Israele a pagare il prezzo dell’accordo*.
*Nota dell’autore:* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente attribuibili all’autore e non impegnano in alcun modo la rivista 7 Ottobre.
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