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Qatar, la strategia della dissimulazione: padrino di Hamas e mediatore globale

Carlo Panella

Tempo di Lettura: 6 min
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Anni fa dichiarai al massimo responsabile dei nostri Servizi segreti che ero scandalizzato dagli ottimi rapporti che la nostra intelligence intratteneva con il Qatar. Non per un pregiudizio personale, ma per ragioni fondate su informazioni certe: il Qatar era stato espulso — a ragione e tra mille polemiche — dal Consiglio del Golfo per indiscutibili e documentate complicità col terrorismo, cioè per i finanziamenti a gruppi jihadisti affiliati all’Isis in Siria.

La risposta mi lasciò interdetto: «Ci hanno fornito informazioni preziosissime, uniche, sui dossier più scottanti. Non ci interessa dove e come le abbiano ottenute, se sono finanziatori, complici, mandanti o fiancheggiatori. Il fatto è che ci hanno permesso di catturare terroristi e sventare attentati. Punto.»

Questo è il Qatar sotto la dinastia Al Thani: tutto e il contrario di tutto. Il suo segreto cinico è proprio questo: giocare su ogni tavolo, a 360 gradi. La specialità della sua politica estera — tipicamente araba e islamica — è quella di provocare crisi con manovre sotterranee per poi presentarsi come unico e insostituibile mediatore, contribuendo così a risolvere disastri che ha egli stesso provocato o indotto. Il siriano Bashar al Assad è stato un maestro in quest’arte.

La multiforme identità del Qatar è ben nota ed è una delle componenti più destabilizzanti del Medio Oriente. Così come finanzia i terroristi, salvo poi rivenderli o consegnarli ai servizi occidentali quando torna utile, lo sceicco Tamim Al Thani — come già suo padre Ahmed — ospita ad Al Udeid la più grande base militare americana all’estero. Contemporaneamente, sviluppa una solida amicizia con l’Iran degli ayatollah, con cui cogestisce senza attriti l’immenso giacimento di gas naturale del North Dome Field, sotto la sovranità congiunta dei due Paesi.


Allo stesso tempo, il Qatar gestisce un fondo sovrano da 530 miliardi di dollari (con partecipazioni in Volkswagen, Total, Vivendi, Barclays, Paris Saint-Germain, ecc.) e finanzia, oltre a movimenti jihadisti, il più diffuso e reazionario movimento islamico del pianeta: i Fratelli Musulmani, fautori del ritorno alla società del VII secolo. Ha organizzato i mondiali di calcio, ma per decenni ha anche ospitato Yusuf al-Qaradawi, massimo ideologo del fondamentalismo islamico, reso una star globale da Al Jazeera. Suo è il decreto che autorizza l’uccisione dei bambini ebrei — futuri soldati sionisti — e quello che permette alle donne di farsi kamikaze, anche se, dopo l’esplosione, se ne vedessero le intimità.


Al Jazeera non è solo un’emittente moderna (nata nel 1996 quando Ahmed Al Thani assunse in blocco la redazione della BBC in arabo), ma un vero partito, protagonista delle crisi mediorientali, capace di gestirle e manipolarle secondo gli interessi della dinastia Al Thani. Specializzata in fake news, Al Jazeera inventò nel 2011 la rivolta popolare in Cirenaica e i massacri che portarono alla guerra contro Gheddafi. In Cisgiordania e Gaza è la voce ufficiale di Hamas, a cui molti suoi giornalisti sono affiliati: manipola, censura e fabbrica notizie. Non a caso, la stessa Autorità Palestinese ha oscurato Al Jazeera in Cisgiordania per ridurre l’influenza di un’alleata così potente di Hamas.


Parallelamente, il Qatar ha avviato un colossale programma di finanziamento alle università occidentali, ottenendo in cambio spazi accademici per l’islamismo fondamentalista. Dal 2001 al 2023, ha donato 4,7 miliardi di dollari a università statunitensi. La Carnegie Mellon ha ricevuto 1,4 miliardi, Harvard 894 milioni, il MIT 859, Texas A\&M 500, Yale quasi 500, la Johns Hopkins 402 milioni. Il movimento pro-palestinese nei campus americani non è spontaneo: è il risultato di un’operazione sistemica, lucida, ben finanziata.


Il capolavoro strategico del Qatar resta però l’essersi imposto come mediatore con Hamas, di cui in realtà è socio di maggioranza. La dipendenza del vertice estero di Hamas dalla dinastia Al Thani è totale. Non solo perché vive in ville lussuose a Doha, ma perché da vent’anni è il Qatar — in collaborazione con l’Iran — a finanziare, consigliare e potenziare militarmente Hamas, trasformandolo da movimento di base in una forza armata capace di organizzare il massacro del 7 ottobre e di resistere fino a oggi.


Il bunker sotterraneo di oltre 500 chilometri a Gaza è stato realizzato con materiali forniti grazie alla mediazione del Qatar e costruito con l’aiuto di ingegneri esterni, di cui Hamas non disponeva. Il Qatar, con la Brigata al-Quds dei Pasdaran, ha reso possibile l’arrivo di tonnellate di cemento, ferro e armi nella Striscia.


Il rapporto simbiotico tra Qatar e Hamas si è consolidato nel 2015, quando Doha ha risolto la crisi interna al movimento palestinese, esplosa per il suo schieramento con i Fratelli Musulmani in Siria contro l’alleato iraniano. Fu il Qatar a versare milioni di dollari per sanare la frattura, imponendo anche il passaggio della leadership da Khaled Meshal a Yahya Sinwar. Proprio il Qatar ha permesso la nascita dell’asse della resistenza: Iran, Hezbollah, Hamas, Houthi, Kataeb irachene.


Nella strategia multiforme del Qatar — dove agisce un ruolo determinante, visibile e invisibile, Mozah bint Nasser, madre dell’emiro — si esprime la quintessenza della politica araba.

Una quintessenza racchiusa in una parola spesso ignorata in Occidente: Taqiyya, l’arte della dissimulazione.

Nel mondo islamico, la politica si fonda su due pilastri: le strategie di Maometto e le dinamiche di corte. Tutto avvolto nella Taqiyya, cioè dire una cosa mirando all’opposto. Storico esempio: la «pace di al-Hudaybiyya», siglata da Maometto con i nemici della Mecca, ma pensata solo come strumento per guadagnare tempo e ottenere una successiva vittoria totale. Non una tregua, ma un inganno.


Quando Yasser Arafat firmò gli Accordi di Oslo nel 1993, disse ai suoi contestatori interni di Al Fatah: «Non preoccupatevi, è Hudaybiyya». E nel 2000 sabotò quegli accordi, lanciando l’Intifada delle stragi. Fu la vera fine di ogni credibilità della leadership palestinese.


Quanto alle dinamiche di corte, sono il cuore dell’incomprensione occidentale verso il mondo arabo. Mentre in Europa le decisioni politiche hanno da tempo bisogno del consenso parlamentare, nei Paesi del Golfo tutto resta vincolato a logiche familiari, tribali, di clan. Niente partiti, niente borghesia, niente società civile organizzata. Questa era la Libia di Gheddafi: caduto lui, la scena è passata ai clan, senza centro, senza mediazione, senza pace.


La duttilità politica degli Al Thani sta proprio nel saper giocare una strategia medievale nella modernità.
Con un surplus di cinismo che li ha resi, al contempo, padrini strategici di Hamas e mediatori accreditati con Hamas. Un gioco delle parti più che scabroso.

 

 


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Qatar, la strategia della dissimulazione: padrino di Hamas e mediatore globale Qatar, la strategia della dissimulazione: padrino di Hamas e mediatore globale