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VIAGGIO NELL’UEA (Unione Europea Antisemita) – Norvegia, il silenzio che fa rumore

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 5 min
VIAGGIO NELL’UEA (Unione Europea Antisemita) Antisemita) – Norvegia, il silenzio che fa rumore

Quando, la mattina del 15 aprile 2024, Sophie Jenssen e sua sorella Andrea hanno varcato il cancello del cimitero ebraico di Lademoen, nella città di Trondheim, antica capitale del regno di Norvegia e oggi terza per dimensioni dopo Oslo e Bergen, non immaginavano di dover assistere a uno spettacolo così osceno: stelle di David spezzate, lapidi divelte, scritte feroci e ributtanti. Sophie commenta mestamente: «Chi è stato ucciso durante l’Olocausto non ha ancora trovato pace, neppure nella morte.» L’efficiente polizia norvegese, NTB, è arrivata dopo una manciata di minuti, ha condotto i dovuti rilievi, censito i danni, interrogato alcuni dei presenti e alla fine archiviato il caso sotto la voce “hærverk”, vandalismo. Uno dei tanti, e che sarà mai?

Passano un paio di giorni, e nel pomeriggio del 17 aprile un ignoto mascalzone lancia una torcia contro la sinagoga della città di Arkitekt Christies, Gate 1B, serafica stradina ai cui bordi resistono cumuli di neve. Costruito a metà degli anni Venti del secolo scorso, l’edificio non subisce danni solo perché lo strumento incendiario non è riuscito a raggiungere le mura azzurrine e nemmeno a sfiorare le ampie finestre dalle cornici di candido abete.

Qualche mese dopo, il 24 luglio 2024, un altro impavido anonimo che si firma Töddel è ben felice di violentare l’immagine di Anna Frank raffigurandola su un muro di Bergen con tanto di kefiah e trova persino il titolo adatto: La morte degli innocenti.
Uno su cinquemila: tanti gli ebrei della Norvegia di re Harald V, paese che – buon pro gli faccia – ha sancito per ben due volte il proprio rifiuto di aderire all’Unione Europea, con un referendum nel 1972 e poi di nuovo nel 1994. Su una popolazione di cinque milioni e mezzo di anime, la comunità ebraica conta appena un migliaio e mezzo di persone.

Dopo il 7 ottobre, l’escalation dell’antisemitismo ha assunto forme ibride: atti simbolici, linguaggi ostili camuffati da critica politica, silenzi istituzionali. Nel dicembre 2024, un rapporto governativo conferma una crescita costante di palesi manifestazioni antisemite, in particolare nelle scuole e sui social network. La questione israelo-palestinese diventa pretesto per aggredire senza scrupoli né freni l’identità ebraica, tanto che la Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) inserisce la Norvegia tra i Paesi da monitorare.

I fatti evocati non sono altro che il sintomo di un clima tossico che nemmeno i gelidi venti che sferzano il paese riescono a dissipare. Né i numeri hanno bisogno di essere interpretati: tra il 2022 e il 2024, la percentuale di cittadini norvegesi che esprimono opinioni antisemite sale dal 9,3% all’11,5%. Circa il 69% degli ebrei norvegesi dichiara di aver vissuto episodi antisemiti dopo il pogrom del sud di Israele, roba mai vista almeno in queste dimensioni. Anche i reati d’odio ufficialmente classificati come antisemiti – una quindicina ogni anno – risultano sottostimati, soprattutto se si considerano le dinamiche online.

In tutta Europa, secondo dati raccolti da enti terzi, i commenti antisemiti sui video YouTube sono aumentati di quasi il 5.000% nelle settimane successive al 7 ottobre. Anche in Norvegia, le piattaforme digitali sono diventate il luogo prediletto di un antisemitismo travestito da militanza politica. Nelle chat scolastiche, nei forum locali, nei gruppi social di sinistra radicale o islamista, l’ebreo è tornato a essere bersaglio, colpevole senza appello.

Le reazioni della società civile, invece di arginare la deriva, non fanno che accrescerla. Alcuni sindacati, ONG e partiti politici diffondono dichiarazioni e manifesti in cui la condanna delle azioni israeliane è accompagnata da toni che, pur senza usare esplicitamente termini antisemiti, tendono a colpire in blocco l’identità ebraica o a mettere in discussione la legittimità stessa del sionismo. Le manifestazioni di piazza che si sono moltiplicate in autunno e in inverno hanno lasciato spazio a slogan come “From the river to the sea”, a evocare una nuova soluzione finale.

Il governo norvegese, da parte sua, tenta di dare un segnale aggiornando nel 2025 il Piano d’Azione contro l’antisemitismo varato quattro anni prima, un’altra era. Lo schema studiato prevede interventi educativi nelle scuole, un monitoraggio dei crimini d’odio e sostegno legale alle vittime. Mancano però gli strumenti concreti per contrastare l’odio online che oggi rappresenta la principale arena della radicalizzazione. Le piattaforme digitali operano senza vincoli, e nessuna misura specifica è stata introdotta per responsabilizzare i fornitori di servizi digitali o moderare i contenuti discriminatori.

In questo scenario, la Norvegia rischia di diventare un caso emblematico di antisemitismo “freddo”, educato ma non per questo meno pervasivo. Un antisemitismo che si insinua nei discorsi della sinistra che si pretende illuminata, nelle battaglie dei diritti umani a geometria variabile, nelle aule scolastiche e nelle assemblee universitarie, senza più bisogno di simboli espliciti o minacce fisiche. Un antisemitismo che parla la lingua dell’antisionismo e ne condivide la radice profonda: un’odio sordo e implacabile che, passo dopo passo, si rivela per quel che è, senza che le coscienze dei volenterosi carnefici ne vengano minimamente scalfite.


VIAGGIO NELL’UEA (Unione Europea Antisemita)
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