Due ragazzi ebrei, uno di 18 e l’altro di appena 15 anni, sono stati aggrediti all’uscita da una sinagoga. Picchiati, rapinati, insultati con frasi antisemite. È accaduto ieri a Milano, in pieno centro, nel cuore di una metropoli che si vuole moderna e civile. Ed è accaduto nel silenzio quasi generale delle istituzioni. A sollevarsi è stato il consigliere comunale Daniele Nahum, che con altri colleghi ha chiesto — senza ancora ottenere risposta — una seduta speciale del Consiglio Comunale da tenersi in un luogo simbolico dell’ebraismo milanese. Un atto doveroso, che non dovrebbe trovare imbarazzi. E invece sì: Milano tace.
E non è un episodio isolato. Solo due settimane fa, a Torino, alcune famiglie ebree hanno denunciato minacce ricevute via posta e social media. “Sappiamo dove vivete, e quando sarà il momento verrete giustiziati”, recitava uno dei messaggi recapitati a un avvocato della comunità. A Roma, nel quartiere Portuense, un gruppo di studenti ha trovato svastiche e scritte antisemite sulla facciata della propria scuola. Un mese fa, durante una manifestazione filopalestinese, è stato bruciato un cartello con la scritta “Shalom” davanti al Tempio Maggiore. Nessuno ha parlato.
Che l’antisemitismo stia rialzando la testa è un fatto. Ma il fatto più grave è che si finge di non vederlo. Che lo si derubrichi a “tensione del momento”, a “reazione all’attualità mediorientale”, quando invece è l’antico odio razziale a riemergere — con nuove maschere, ma identiche radici. Non si tratta solo di svastiche e insulti, ma di un clima, di un consenso che cova nei silenzi, nelle ambiguità, nei distinguo.
Negli ultimi mesi, troppe piazze europee hanno visto manifestanti sfilare al grido di “Intifada” o “From the river to the sea”, slogan che non chiedono la pace ma la scomparsa dello Stato ebraico. In molti casi, gli stessi slogan sono stati ripresi da giovani cresciuti nelle nostre scuole, nelle nostre università, persino nei nostri ambienti culturali. Una deriva inquietante che non può essere ignorata né normalizzata.
È necessario che le istituzioni reagiscano. Che i partiti democratici — tutti, senza eccezioni — condannino senza se e senza ma ogni atto antisemita. Che i sindaci e i presidenti di regione parlino chiaramente. Che si torni nelle scuole a educare, non solo alla memoria della Shoah, ma al riconoscimento del diritto d’esistere del popolo ebraico, oggi più che mai messo in discussione.
Per questo la proposta di tenere un consiglio comunale straordinario in un luogo simbolico della memoria ebraica a Milano è non solo legittima, ma urgente. E chi la ignora si assume la responsabilità politica — e forse anche morale — di un’omertà che legittima la violenza.
Il rigurgito antisemita non è un fantasma del passato. È il presente che ci cammina accanto. E chi governa — città, regioni, parlamento — ha il dovere di guardarlo negli occhi e dire: “Non nel nostro nome. Non nella nostra democrazia”.
Antisemitismo, il silenzio delle istituzioni è complicità Antisemitismo, il silenzio delle istituzioni è complicità Antisemitismo, il silenzio delle istituzioni è complicità