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Un’ondata oscura: l’antisemitismo in America dopo BoulderI

Andrea Molle

Tempo di Lettura: 5 min
Un’ondata oscura: l’antisemitismo in America dopo BoulderI

L’attacco incendiario con molotov contro manifestanti pro-Israele a Boulder, Colorado, ha molto più peso di un semplice episodio violento isolato. È stato un segnale d’allarme, una sirena, una finestra spalancata su un problema profondo e in crescita: l’antisemitismo che sta mettendo radici profonde nella società americana e in forme sempre più esplicite, violente e purtroppo normalizzate. Secondo un recente rapporto dell’Anti-Defamation League (ADL), solo il 60% degli americani ritiene che l’antisemitismo sia un problema grave. Questo dato, già di per sè inquietante, nasconde una tendenza ancora più allarmante. Nel novembre 2023 la percentuale era infatti in crescita al 71%. Un chiaro segnale che oggi la consapevolezza dell’antisemitismo sta calando, proprio mentre gli episodi aumentano.

L’indagine dell’ADL, condotta l’11 giugno 2025 su un campione rappresentativo di 1.000 adulti americani, mostra che un segmento non trascurabile della popolazione considera l’odio antiebraico non solo “comprensibile” (24%), ma addirittura “giustificato” (13%) o addirittura “necessario” (15%). Si tratta di un cambiamento quantitativo e qualitativo nel panorama dell’odio. L’antisemitismo non è più un tabù riservato agli estremisti, ma è considerato una posizione politica legittima anche tra i comuni cittadini, specie tra i giovani adulti. Più di un terzo degli intervistati tra i 18 e i 24 anni ritiene infatti che gli episodi antiebraici possano essere giustificabili nel contesto del conflitto israelo-palestinese. Una parte significativa di questi giovani considera gli ebrei americani “complici” o “responsabili” delle politiche israeliane, confondendo deliberatamente identità religiosa e scelta politica.

In questo clima tossico, alcune espressioni – come la famigerata “dal fiume al mare” – sono diventate veri e propri slogan usati per nascondere la violenza sotto la patina politicamente corretta del dissenso. Ben il 34% degli americani non considera più questa frase come antisemita, mentre il 23% non ha un’opinione in proposito. Emerge chiaramente la perdita di riferimenti etici e culturali. L’antisemitismo, per molti, si nasconde dietro lo scudo dell’attivismo.

Geograficamente parlando, il Colorado si conferma come uno stato “caldo”. Il numero di episodi antiebraici nel 2024 ha raggiunto la quota di 279, con un incremento del 41% rispetto all’anno precedente e del 373% rispetto al dato degli ultimi cinque anni. È il numero più alto registrato nello Stato dal 1979. E non si tratta solo di parole o graffiti. Tra gli epidosi si trovano minacce, aggressioni fisiche, incendi dolosi, bombe molotov lanciate contro sinagoghe e centri appartenenti alle comunità ebraiche. Il caso di Boulder ne è certamente l’esempio più mediatizzato, ma non è un caso isolato.

L’università, un tempo almeno a parole luogo privilegiato di dibattito e pluralismo, sta diventando un epicentro dell’intolleranza. Sempre secondo l’ADL, nel solo 2024 si sono verificati 1.694 episodi antisemiti nei campus universitari americani, rispetto a un totale nazionale di ben 9.354 incidenti. Questi episodi includono molestie, manifestazioni violente, minacce contro studenti ebrei, interruzioni di eventi culturali o religiosi. Le aule accademiche sono diventate un campo di battaglia ideologico, dove lo studente ebreo è spesso trasformato in bersaglio, e la distinzione tra critica legittima e odio religioso viene sistematicamente ignorata.

Anche i social media svolgono, ovviamente, un ruolo decisivo in queste dinamiche d’odio. Nonostante i tentativi di moderazione, Reddit è ancora invaso da teorie del complotto che descrivono gli attacchi antisemiti come “false flag” orchestrate dagli stessi ebrei per ottenere simpatia o giustificare il “genocidio” dei palestinesi. Oltre al sondaggio, l’ADL ha documentato centinaia di thread e commenti che normalizzano l’odio e giustificano la violenza. Commenti quasi mai censurati e, anzi, spesso supportati da utenti con migliaia di follower.

Questi contenuti, lasciati senza controllo, influenzano l’opinione pubblica e plasmano una cultura del sospetto antiebraico che alimenta ulteriormente la radicalizzazione.
Nel frattempo, le istituzioni arrancano. Se è vero che sia la maggioranza dei democratici che dei repubblicani riconosce la gravità del problema, le risposte politiche concrete sono ancora timide e disorganiche. Solo 29 stati richiedono oggi l’insegnamento dell’Olocausto, e ancora meno stati prevedono programmi educativi specifici contro l’antisemitismo. In altri, come la California, spesso accade che le comunità ebraiche vengano deliberatamente escluse dal dibattito a beneficio di una narrazione propalestinese a senso unico. In un’epoca in cui la memoria storica si sgretola sotto il peso della disinformazione, la mancanza di una risposta formativa è un pericolo gravissimo.

Non si può sottovalutare, infine, l’effetto corrosivo che tutto questo ha sulla coesione democratica. Quando la minoranza più colpita da crimini d’odio per motivi religiosi negli Stati Uniti resta sistematicamente quella ebraica – come certificano ogni anno anche i report ufficiali dell’FBI – ma l’opinione pubblica normalizza o giustifica tale persecuzione, allora la crisi non è solo etica, ma anche istituzionale.

Il vero problema non è solo che l’antisemitismo esiste, ma che sempre più americani trovano ragioni per accettarlo. È questa la deriva più pericolosa: non l’odio degli estremisti, ma l’indifferenza dei moderati. L’America si trova oggi davanti a un bivio morale. Difendere la libertà di critica non può mai significare tollerare l’odio razziale o religioso. La democrazia, se vuole restare tale, deve saper tracciare il confine. E oggi quel confine è minacciato da troppi silenzi.


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