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Oggi a Teheran è 14 luglio: la Bastiglia iraniana sotto assedio

Aldo Torchiaro

Tempo di Lettura: 3 min
Oggi a Teheran è 14 luglio: la Bastiglia iraniana sotto assedio

Teheran potrebbe voltare pagina. Potrebbe vedere l’inizio di una storia nuova. Quella che ha avuto il suo orribile apice il 7 ottobre 2023: grazie all’intervento israeliano davanti ai nostri occhi va in scena una Bastiglia contemporanea: non quella parigina del 1789, ma il carcere di Evin, cuore nero del regime iraniano. Un simbolo di oppressione che vacilla, proprio nel giorno in cui in Francia si riunisce l’opposizione iraniana. Quando venne giù la Bastiglia, Re Luigi XVI annotò svogliatamente sul suo diario: “Oggi, niente”. L’entusiasmo oggi è diverso. Anche se la transizione, che ancora deve prendere forma, sarà lenta.

«È l’inizio di una nuova era», dicono i dissidenti riuniti a Parigi. E Reza Pahlavi, figlio dell’ultimo scià, non ha dubbi, ricorrendo a una metafora più recente: «Il muro di Berlino sta crollando a Teheran». Lo dice mentre fonti riservate parlano di valigie già pronte nelle stanze della famiglia Khamenei. La tirannia che dura da 46 anni mostra le prime crepe.

Il carcere di Evin, dove fu rinchiusa anche la giornalista Cecilia Sala, è diventato l’emblema di un sistema di terrore e oppressione. E oggi il simbolo del suo collasso. Una cittadella blindata, con oltre duemila detenuti stipati in decine di edifici, con almeno cinquecento prigionieri politici sottoposti a torture sistematiche nelle cosiddette “camere nere”. In questi giorni di guerra, secondo fonti interne, circa 150 persone vengono mandate al patibolo. Una macchina della morte.

Ma oggi quella macchina si è inceppata.
In una serie di operazioni chirurgiche, le forze israeliane – mai ufficialmente confermate – avrebbero neutralizzato le torrette di guardia, abbattuto cancelli e generatori, colpito i pasdaran incaricati di sorvegliare e giustiziare. Provando a trasformare la guerra in una rivoluzione. In una campagna di liberazione dai Pasdaràn. Israele colpisce per liberare, con l’obiettivo dichiarato di sostenere le opposizioni e dare fiato a chi, dentro e fuori l’Iran, chiede libertà, democrazia, diritti.

Come scrisse Victor Hugo ne I Miserabili, “aprire una scuola chiude una prigione”. Oggi la scuola è quella della democrazia: e auspicarla significa chiudere una prigione per aprire un futuro.

Dall’inizio delle proteste – dalle manifestazioni studentesche del 1999, passando per il Movimento Verde, fino alle rivolte del 2017 e 2019 – migliaia di iraniani hanno pagato con la vita il sogno di una democrazia moderna. «Oggi milioni continuano la lotta. Non chiedono libertà: se la stanno prendendo», ha detto Pahlavi, in un discorso che dal centro di Parigi sembra voler riecheggiare le parole di Danton: “L’audacia, ancora l’audacia, sempre l’audacia”.

L’intervento israeliano, al contrario di quanto racconta la propaganda iraniana, rappresenta una de-escalation. L’escalation di una tensione armata cronica si è avuta con lo shock del 7 ottobre 2023. Da allora è inciso sulla pietra come il regime degli ayatollah alimenti il fuoco attraverso i suoi proxy – Hamas, Hezbollah, Houthi e Jihad islamica – e abbia raggiunto l’apice il 7 ottobre con un attacco pensato, orchestrato e deciso a Teheran. Ecco che la storia oggi rimette ordine nelle lancette del tempo.

E davanti al carcere di Evin, tra i detriti di un potere che vacilla, con i detenuti politici che i famigliari provano a portarsi a casa, sembra di rivedere quelle scene studiate tante volte sui libri. Il pensiero va al 1789. La liberazione dei prigionieri politici non è solo un atto simbolico: è l’inizio di una rivoluzione.


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