C’è stato un tempo in cui tutti si diceva che “la cultura è l’unico vero antidoto all’odio”. Lo dicevamo con convinzione, con orgoglio quasi nazionale. Ricordate? Benigni che salta sulle poltrone degli Oscar, il mondo che applaude La vita è bella, e noi italiani con la schiena dritta a dire: noi la memoria ce l’abbiamo, noi l’ignoranza l’abbiamo sconfitta, noi certe cose non le tolleriamo.
Oggi invece a Milano compaiono manifesti con la scritta “Israeli not welcome” negli spazi comunali. Nessun errore di stampa. Non governo israeliano, non politiche di Netanyahu, no — israeliani, come popolo, come passaporto, come identità. In pieno stile anni Trenta, ma in versione moderna, adesiva e bilingue.
E allora, viene da chiedersi: a cosa è servito studiare? A cosa sono servite le pagine lette, le commemorazioni, le giornate della memoria, i libri sul comodino, le visite ad Auschwitz? A cosa sono serviti i discorsi nelle scuole, le cerimonie, le lacrime, i “mai più”?
La verità è che non è bastato, perché oggi la cultura si è fatta tiepida, la memoria intermittente, la coscienza selettiva. L’antisemitismo torna senza nemmeno il bisogno di travestirsi. E intanto qualcuno, a sinistra e a destra, commenta con mezze parole, ambiguità, silenzi. Qualcuno strizza l’occhio, altri semplicemente voltano la faccia. Perché, si sa, “è una questione complessa”.
No, non è complessa. Discriminare una persona in base alla sua nazionalità, religione o origine è semplice. È sbagliato, ma semplice. E lo era anche allora, negli anni Trenta. Solo che ora non abbiamo più la scusa dell’ignoranza.
Per questo fa ancora più male. Perché ora sappiamo tutto, o dovremmo. Abbiamo letto, visto e discusso.
E invece eccoci qui, con manifesti razzisti nei luoghi pubblici, e nessuno che si scandalizza più di tanto. Con politici che devono ricordare al sindaco che dire qualcosa non è solo utile, ma necessario. Con chi denuncia questi atti come “fascismo moderno” e viene trattato come se stesse esagerando.
Forse abbiamo studiato troppo in superficie. O forse ci siamo abituati a vedere tutto come tifo da stadio, dove o sei con me o sei contro. E chi sta nel mezzo, chi prova a dire “attenzione, così si torna indietro”, rischia di essere zittito o ridicolizzato.
Intanto però gli “israeliani non sono benvenuti”. In italiano, In inglese, In stampatello e in silenzio.
E allora sì, con amara ironia, viene da pensare che forse abbiamo solo imparato a memoria qualche frase, senza mai capirla davvero.
Perché se dopo tutto questo siamo ancora qui a discriminare un popolo intero, allora no, la cultura non ci ha salvati.
E la storia non ci ha insegnato nulla.
Fonte: politopoli.it
La cultura non ci ha salvati La cultura non ci ha salvati