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Come il regime khomeinista ha rovinato l’Iran

Banafsheh Zand

Tempo di Lettura: 6 min
Come il regime khomeinista ha rovinato l’Iran

Sono passati più di quarant’anni da che la Repubblica islamica è stata istituita in Iran e in questo lasso di tempo una delle più antiche civiltà del mondo è stata ridotta in cenere. Sotto la guida dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, la rivoluzione islamica del 1979 fu annunciata come un movimento di liberazione dall’“imperialismo” e dal dispotismo. Khomeini e la cerchia a lui più vicina — in particolare Akbar Hashemi Rafsanjani e Ali Khamenei — hanno strumentalizzato il malcontento e mascherato le proprie ambizioni dietro una retorica populista islamica. Quand’era in esilio Khomeini aveva dichiarato di non avere ambizioni politiche e che si sarebbe ritirato a Qom per studiare e insegnare. “I religiosi non governeranno,” annunciò. “Noi non cerchiamo il potere.” Una volta giunto a Teheran, smantellò rapidamente le strutture democratiche appena nate dalla rivoluzione, si rivoltò contro gli alleati laici e liberali, e gettò le basi per una dittatura clericale.

Rafsanjani, mente economica del regime e padrino della struttura mafiosa interna, usò il periodo di transizione per accumulare enormi ricchezze, trasformando l’economia nazionale in un affare di famiglia. Khamenei, l’attuale Guida Suprema, succedette a Khomeini non per superiorità spirituale o saggezza, ma perché era un lealista malleabile e spietatamente pragmatico. I due contribuirono a trasformare l’Iran in una nazione ostaggio, sia di interessi stranieri sia di una gang interna composta da religiosi, comandanti delle Guardie Rivoluzionarie e oligarchi.

Oggi l’Iran è governato da un regime che non assomiglia in nulla al Paese che vorrebbe rappresentare e il potere è nelle mani di istituzioni non elette: la Guida Suprema, il Consiglio dei Guardiani, le Guardie Rivoluzionarie e gli imperi economici opachi che essi controllano. Ogni tentativo degli iraniani di farsi sentire tramite proteste, arte, social media o giornalismo, viene brutalizzato. La speranza è che tutto questo serva da monito al mondo libero: un Paese che un tempo eccelleva in scienza, letteratura, medicina e diplomazia è oggi un covo di terroristi, contrabbandieri e fanatici.’ideologia religiosa che ha in odio l’Occidente liberale e democratico, la sua tanto deprecata disinvoltura di costumi e la sua indigesta libertà di pensiero. Mentre l’Occidente discute e si divide su tutto – fine vita, genitorialità per altri, aborto, femminicidi e diritti gay – altri invocano l’impiccagione per ogni idea e dubbio, stendono veli sui volti delle donne e citano sure coraniche per la conquista finale: un islam per tutti, piaccia o non piaccia.


Il regime ha saccheggiato la nazione in una maniera che non ha precedenti. Nonostante sieda su vaste riserve di petrolio e gas, l’Iran oggi soffre d’inflazione, disoccupazione di massa, infrastrutture in rovina e povertà diffusa. Le ricchezze del Paese vengono risucchiate dalle Guardie Rivoluzionarie e dalle élite religiose. Miliardi sono stati destinati a milizie per procura all’estero — Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen, le milizie sciite in Iraq e Hamas a Gaza — mentre i bambini iraniani crepano di fame e negli ospedali mancano i rifornimenti medici più elementari. Le stime sulle ruberie finanziarie del regime variano, ma quel che è certo è che centinaia di miliardi di dollari sono andati in fumo per colpa della corruzione dilagante. Basti pensare che la famiglia di Rafsanjani da sola controlla beni valutati decine di miliardi e Khamenei, che si presenta come un semplice religioso, sovrintende a un impero finanziario attraverso istituzioni come Setad, opaca organizzazione con partecipazioni in quasi tutti i settori dell’economia iraniana. Questi enti operano al di fuori del controllo governativo e incanalano denaro sia in tasche personali sia nella guerra ideologica all’estero.

Lungi dal costruire una società islamica esemplare, il regime ha creato una rete regionale di violenza. La sua élite – Quds Force – ha addestrato, finanziato e armato gruppi terroristici in tutto il Medio Oriente. Le sue ambasciate spesso fungono da basi per operazioni di intelligence e omicidi. L’attentato del 1994 all’AMIA in Argentina, l’attacco del 1983 alla caserma dei marines a Beirut e tanti altri attacchi contro obiettivi israeliani ed ebraici in tutto il mondo sono stati ricondotti all’apparato della Repubblica islamica. Il tradimento più insopportabile del popolo iraniano non è forse venuto solo dagli ayatollah, ma da quanti in Occidente li hanno legittimati e sostenuti. Le potenze del Vecchio Continente, e in particolare l’Unione Europea, hanno costantemente dato priorità al petrolio a buon mercato e a contratti redditizi rispetto ai diritti umani e alla giustizia. Mentre gli iraniani vengono impiccati per aver protestato o le donne cacciate dalle università per non aver indossato correttamente il velo, i diplomatici europei sorseggiano il tè con i loro carnefici a Vienna e Bruxelles.

Nonostante tutto, il popolo iraniano resta fiero, indomabile. Ogni slogan di protesta — da “Donna, Vita, Libertà”, a “Morte al Dittatore” fino a “Né Gaza né Libano, sacrifico la mia vita per l’Iran” — è un atto di resistenza contro il furto del proprio Paese. Sanno che il regime non li rappresenta. Sanno che la codardia morale dell’Occidente ha prolungato le loro sofferenze. Eppure, resistono

Ciò che la Repubblica Islamica non è riuscita a fare è spezzare lo spirito dell’Iran. Non ha cancellato Ferdowsi, Hafez o Khayyam. Non ha estinto la memoria di Ciro o il sogno di un Iran libero e moderno. L’anima del Paese vive ancora nei suoi studenti, nei suoi lavoratori, nei suoi intellettuali in esilio, e nei suoi martiri, quelli giustiziati, scomparsi, imprigionati per il crimine di desiderare un futuro migliore.


Il regime khomeinista ha fatto qualcosa di peggio che ribaltare un governo, ha profanato una civiltà. Attraverso menzogne, terrore e furto, ha trasformato una delle nazioni più antiche del mondo in un monito su cosa accade quando una rivoluzione viene tradita. Ma l’Iran è più grande di qualsiasi regime. È più antico della Repubblica islamica, e ad essa sopravvivrà. L’Europa deve abbandonare le proprie illusioni. E le nazioni libere del mondo devono schierarsi non con i tiranni in turbante, ma con il popolo iraniano la cui lotta per la dignità è tra le più eroiche del nostro tempo.

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