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Buttata fuori dalla Flotilla, perché faceva la giornalista

Luisa Ciuni

Tempo di Lettura: 3 min
Buttata fuori dalla Flotilla, perché faceva la giornalista

Buttata fuori. Messa alla porta come un cane che ha sporcato, da un solerte collettivo di democratici.
Questa la sorte della collega Francesca Del Vecchio, del quotidiano La Stampa, che seguiva a Catania la preparazione alla partenza della Global Sumud Flotilla verso Gaza. Dopo una serie di articoli che evidentemente non sono stati apprezzati, è stata depositata sul molo della città etnea dagli organizzatori. Dotati di bus, ovviamente, sul quale però non l’hanno fatta salire per raggiungere un taxi, un treno, un aeroporto: non era degna di tanta magnanimità.

Ogni commento sarebbe superfluo, persino quelli basici, dettati dall’educazione.
Il motivo? Aver fatto la giornalista e tentato di raccontare luci e ombre di un salpataggio in un diario di bordo pubblicato giornalmente dal giornale piemontese, col consenso degli organizzatori.

Si parte con qualche scricchiolio: appena la collega sale in barca le viene tolto il cellulare e viene indirizzata su cosa scrivere e cosa no. L’atmosfera sembra comunque distesa, tutto pare scorrere liscio.
La sicurezza è il cuore delle esercitazioni e dei discorsi. O meglio: la paranoia. Perché improvvisamente qualcosa si rompe e la sfiducia inizia a permeare i rapporti con gli altri reporter e coi partecipanti. Infine, lo scoppio. La Del Vecchio diventa una giornalista “pericolosa” perché avrebbe rivelato informazioni sensibili. E perché il suo giornale “ricopre di m…a” i partecipanti alla missione su Gaza, come le viene affettuosamente riferito.

Eppure la collega aveva scritto parole interessanti, generose e sensibili sulla Flotilla, malgrado tutto. Non le resta che abbozzare e andarsene.
Le informazioni sensibili? Il luogo in cui era ancorata la Flotilla. Posto non certo segreto, visto che ogni giorno sul molo arrivavano giornalisti da tutta la Sicilia e da testate di ogni genere.

Che Israele (o i servizi italiani…) avessero bisogno di leggere su La Stampa dove sono ormeggiate le navi che dovrebbero salpare per Gaza, è una cosa che supera qualsiasi senso del ridicolo. Come le pseudo esercitazioni di sicurezza. Per non parlare del dettaglio raccolto da Del Vecchio: un video in cui compariva un sacchetto di McDonald’s è stato fatto cancellare a forza. Niente hamburger low cost per la causa. Forse la rivoluzione, nel frattempo, è diventata un pranzo di gala.

Ma il vero problema è l’aria da complotto che spira dietro tutta questa storia. Un’atmosfera da microcellula di rivoluzionari da treno piombato, con potere di censura su tutto e tutti. La visione della libertà di stampa che ne emerge è chiara: c’è una parola d’ordine da seguire e un modo “buono” di dare le notizie, contro uno “cattivo”. O ti uniformi al buono o te ne vai. Coperta d’infamia.

Beh, non va così. In democrazia ognuno scrive quello che vede, liberamente e assumendosene i rischi, come ha fatto Del Vecchio. È chiaro che, in tempi di social e di autogenerazione di testi e immagini a propria immagine e somiglianza, questo non piaccia: si preferiscono foto e video emozionali e patinati, tanto artefatti quanto falsi, spacciati per verità rivelata.

Ma siamo qui a scrivere della storia di una collega. E questo dimostra che non tutto è perduto. È la stampa, bellezza, e non puoi farci niente.


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