Mentre in alcuni ambienti politici e accademici europei si torna a parlare con sempre maggiore insistenza di sanzioni economiche o boicottaggi verso Israele, è necessario guardare ai fatti. Al dilà delle già note motivazioni ideologiche di cui si è ampiamente discusso su queste pagine , un simile approccio rischia di produrre conseguenze negative proprio per l’Europa, sul piano economico, industriale e geopolitico.
Israele è oggi una delle economie più avanzate e resilienti tra i paesi OCSE. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il PIL pro capite israeliano ha superato i 57.000 dollari nel 2025, con tassi di disoccupazione inferiori al 4% e un’inflazione relativamente contenuta. La sua economia è trainata da settori ad altissimo contenuto tecnologico: cybersecurity, difesa, semiconduttori, intelligenza artificiale, medicina avanzata.
Sul piano commerciale, il rapporto con l’Unione Europea è molto stretto. Secondo i dati della Commissione UE e dell’ICE, nel 2024 gli scambi tra Israele e l’UE hanno raggiunto i 42,6 miliardi di euro, di cui 26,7 miliardi rappresentano export europeo verso Israele. L’Unione è il primo partner per le importazioni israeliane (34,2%) e il secondo per le sue esportazioni (28,8%). In gioco ci sono settori strategici per l’economia europea: macchinari, prodotti chimici, automotive, pharma, software industriale.
Per citare solo alcuni esempii, aziende come Intel, presente in Israele con oltre 12.000 dipendenti, svolgono attività cruciali per la produzione globale di microchip, incluso l’approvvigionamento europeo. Sul fronte farmaceutico, Teva Pharmaceuticals, leader mondiale nei generici, è un attore chiave nelle forniture ospedaliere per molti sistemi sanitari dell’UE.
Un’eventuale interruzione di questi rapporti, ad esempio con la sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele o restrizioni mirate, danneggerebbe le filiere produttive continentali, già fragili dopo pandemia e guerre, senza incidere realmente sulla politica israeliana. Anzi, Israele rafforzerebbe ulteriormente i propri legami commerciali con attori globali come Stati Uniti, India, Corea del Sud e i Paesi del Golfo.
C’è anche un effetto perverso sul piano politico: indebolire i canali economici con Israele ridurrebbe la capacità dell’UE di esercitare qualsiasi influenza credibile in Medio Oriente. E isolare un Paese democratico, con solide istituzioni e una società pluralista, mina la coerenza stessa dei valori occidentali che l’Europa sostiene.
Infine, la storia insegna che le sanzioni economiche raramente portano a cambiamenti strutturali se non accompagnate da una visione geopolitica condivisa. Nel caso israeliano, l’uso di queste leve rischia di irrigidire ulteriormente l’opinione pubblica locale e rafforzare la percezione di ostilità preconcetta da parte dell’Europa. Ostilità che, al momento, trova purtroppo conferma anche nei fatti. In tutta Europa si registra una recrudescenza senza precedenti di episodi di antisemitismo: aggressioni verbali e fisiche, minacce a scuole e sinagoghe, attacchi a esercizi commerciali ebraici. È in questo clima che si parla di sanzioni: una scelta che rischia di legittimare ulteriormente l’odio e delegittimare chi da decenni è partner commerciale, tecnologico e democratico dell’Europa.
Boicottare Israele, oggi, significa indebolire l’industria europea, perdere accesso a innovazione strategica, e smarrire peso politico in una regione chiave. È un boomerang annunciato.
Boicottare Israele? Un boomerang per l’Europa tra economia, innovazione e geopolitica Boicottare Israele? Un boomerang per l’Europa tra economia, innovazione e geopolitica Boicottare Israele? Un boomerang per l’Europa tra economia, innovazione e geopolitica