Chi era
Nato nel 1915 in Polonia, sionista revisionista fin da ragazzo, Shamir arriva in Palestina nel 1935. Entra nell’Irgun e poi nel Lehi, dove diventa uno dei dirigenti più influenti della lotta clandestina contro gli inglesi. Dopo il 1948 lavora per anni nel Mossad, guadagnandosi la fama di uomo silenzioso, metodico, implacabile. Negli anni Settanta entra in politica con il Likud, diventa presidente della Knesset, poi ministro degli Esteri, infine primo ministro.
Perché conta
Shamir è l’incarnazione della destra nazionalista israeliana nella sua versione più rigorosa: niente concessioni territoriali, nessuna illusione sul mondo arabo, convinzione che solo la forza e la pazienza storica possano garantire la sicurezza di Israele. Guidò il Paese negli anni difficili della guerra in Libano, della Prima Intifada e della guerra del Golfo, quando scelse di non rispondere ai missili iracheni per mantenere la coalizione internazionale.
La sua visione
Per Shamir il conflitto israelo-palestinese non aveva soluzioni rapide. Era contrario alla nascita di uno Stato palestinese, favorevole all’espansione degli insediamenti e scettico verso i negoziati. Accettò la Conferenza di Madrid nel 1991 più per necessità diplomatica che per convinzione, e perse poi le elezioni contro Rabin, che avrebbe imboccato la strada di Oslo.
Come viene ricordato
Icona per chi vede in lui l’uomo che non ha mai ceduto, simbolo dell’immobilismo per chi lo considerava incapace di aprire una prospettiva politica. Rimane, in ogni caso, una figura cardinale della storia politica israeliana: un leader sobrio, inflessibile, poco incline ai compromessi e per nulla interessato alla ribalta pubblica.
Yitzhak Shamir (1915 – 2012)

