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Yemen. Quando Hamas sapeva di danneggiare i palestinesi

Shira Navon

Tempo di Lettura: 3 min
Yemen Quando Hamas sapeva di danneggiare i palestinesi

È venuta alla luce una registrazione del 2008 che oggi suona come una confessione anticipata. Una telefonata tra Ali Abdullah Saleh, allora presidente dello Yemen, e Khaled Meshaal, leader politico di Hamas, trapelata in questi giorni e rilanciata da media yemeniti. Non è un documento qualunque e andrebbe ascoltato con il dovuto impegno. Si tratta di una conversazione in cui un capo di Stato arabo accusa Hamas, senza giri di parole, di usare i razzi non per colpire Israele ma per offrirgli una giustificazione perfetta per attaccare Gaza, scaricando il prezzo sui civili palestinesi.

La chiamata risale al 28 dicembre 2008, il giorno dopo l’inizio dell’operazione Piombo Fuso. Saleh è diretto, quasi brutale. Dice a Meshaal che quei razzi non hanno colpito Israele, che sono stati del tutto inefficaci dal punto di vista piano militare, e che invece hanno portato morte e distruzione a Gaza. I numeri che cita sono secchi come colpi di tamburo: pochi morti palestinesi prima dei raid, centinaia dopo. La conclusione è altrettanto netta. Questa strategia, dice duro e preoccuapto il presidente dello Yemen, non serve alla causa palestinese, la danneggia.

Non si tratta solo una critica militare. Saleh rimprovera Hamas di non aver dato istruzioni ai civili di tenersi lontani dagli obiettivi militari noti e accusa l’organizzazione di esporre deliberatamente la popolazione a un massacro prevedibile. Parole che oggi, dopo il 7 ottobre e dopo mesi di guerra a Gaza, risuonano con una forza inquietante e smontano una delle narrazioni più ripetute: l’idea che Hamas agisca per difendere il suo popolo e che le conseguenze siano solo il frutto di una risposta israeliana sproporzionata.

La risposta di Meshaal è altrettanto rivelatrice. Non contesta l’efficacia dei razzi, non nega il costo umano. Insiste su un altro piano: l’assedio, i valichi chiusi, Rafah, la pressione su Egitto e Autorità Palestinese. La violenza usata come leva politica, come strumento per forzare aperture che altrimenti non arriverebbero. È una logica che Hamas non ha mai nascosto del tutto, ma che raramente emerge in modo così esplicito, soprattutto in un dialogo interno al mondo arabo.

Il contesto della fuga di notizie non è neutro. La registrazione è stata diffusa da ambienti legati ai ribelli Houthi, oggi pienamente allineati all’asse iraniano e schierati con Hamas nella guerra contro Israele. Mostrare Saleh come una voce critica serve anche a marcare una distanza politica: lui, che pure governò lo Yemen per oltre trent’anni, non era “abbastanza” dalla parte di Hamas. Un paradosso tragico, se si considera che Saleh è stato ucciso dagli stessi Houthi nel 2017.

Ma al di là delle manovre propagandistiche, il contenuto resta e pesa come un macigno su tutto il modo di raccontare in Occidente la vicenda mediorientale. Un leader arabo che dice a Hamas ciò che molti sanno e pochi ammettono: la scelta dei razzi e della provocazione armata non è solo inefficace, è cinica. Produce immagini, martiri, pressione internazionale, ma di certo non migliora la vita dei palestinesi. Semma il contrario, la peggiora sistematicamente.

Riascoltare oggi quella telefonata significa togliere un velo. Significa riconoscere che la tragedia di Gaza non è solo il risultato di decisioni israeliane, ma anche di una strategia criminale e cinica di Hamas, lucidamente consapevole del prezzo umano che avrebbe imposto al proprio popolo. E questo, forse, è l’aspetto più scomodo di tutti e che nessuno, nelle società occidentali animate dal fervore propalestinese vuole ascoltare.


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