Non è un deposito qualsiasi e non è una notizia di colore. In un locale di Vienna le autorità austriache hanno scoperto un arsenale clandestino che gli inquirenti collegano alle operazioni esterne di Hamas: pistole, caricatori, armamento pronto all’uso, destinato – secondo le prime ricostruzioni – a possibili attacchi terroristici contro obiettivi israeliani ed ebraici in Europa.
Dietro il ritrovamento non c’è il caso, ma un’indagine lunga settimane della Direzione per la Sicurezza dello Stato e l’Intelligence (DSN), in coordinamento con i servizi europei. Il quadro che emerge è quello di una rete transnazionale: armi introdotte in Austria e stoccate in vista di “eventi futuri”, cellule di supporto, logistica discreta, un lavoro di infiltrazione sul territorio europeo che conferma ciò che molti fingono di non vedere dal 7 ottobre in poi: Hamas non è solo un attore mediorientale, è un’infrastruttura terroristica che considera il continente un teatro operativo.
Il filo porta a Londra, dove è stato arrestato un cittadino britannico di 39 anni, sospettato di legami diretti con il nascondiglio di armi e con il gruppo che si muove in Europa. Un profilo occidentale, una capitale europea, un covo in Austria: la geografia del nuovo jihad anti-ebraico è tutta dentro i nostri confini. Non è la metastasi di un “conflitto lontano”, è la sua proiezione strategica.
Il ministero dell’Interno austriaco parla di “tolleranza zero per i terroristi” e rivendica la capacità di intelligence e cooperazione internazionale. Bene. Ma il punto politico è un altro: i principali target dell’arsenale erano istituzioni ebraiche e israeliane, sinagoghe, centri culturali, rappresentanze che già oggi vivono sotto protezione permanente. Ancora una volta, prima degli Stati, vengono presi di mira gli ebrei in quanto tali. Prima delle bandiere, le persone. Prima dei governi, le comunità.
Chi ha normalizzato Hamas come “resistenza”, chi sfila sotto i vessilli verdi nelle piazze europee, chi trasforma l’odio anti-israeliano in linguaggio quotidiano, dovrebbe avere il coraggio di guardare questa storia per ciò che è: non un incidente, ma la conferma che l’ideologia dell’annientamento di Israele produce necessariamente terrorismo globale. Ogni arsenale nascosto a Vienna, Berlino o Bruxelles è un’estensione diretta del progetto che il 7 ottobre ha massacrato civili israeliani.
Questa operazione, per una volta, è stata fermata in tempo. Ma non c’è spazio per compiacersi. Se un gruppo legato a Hamas è stato in grado di introdurre e stoccare armi nel cuore dell’Austria, significa che la combinazione tra reti radicali, fiancheggiatori locali e buchi normativi funziona. Significa che la retorica indulgente verso Hamas e i suoi proxy ha un costo immediato in termini di sicurezza europea.
Chi difende il diritto di Israele all’autodifesa non lo fa solo per principio astratto: lo fa perché sa che la stessa infrastruttura che colpisce gli israeliani è pronta a colpire gli ebrei d’Europa, e poi i cittadini europei tutti. L’arsenale di Vienna è un avvertimento chiaro: finito il tempo delle ambiguità. O si sta con chi contrasta il terrorismo, o si diventa – per vigliaccheria o convenienza – parte del suo ecosistema.
Vienna, arsenale di Hamas: l’Europa è già nel mirino
Vienna, arsenale di Hamas: l’Europa è già nel mirino

