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VIAGGIO NELL’UEA (Unione Europea Antisemita) – Polonia, tra Shoah e l’odio che ritorna

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 5 min
VIAGGIO NELL’UEA (Unione Europea Antisemita) – Polonia, tra Shoah e l’odio che ritorna

In Polonia oggi la parola “ebreo” si legge più spesso sui muri imbrattati che nei libri di scuola. Dove una volta sorgevano sinagoghe, ora si trovano parcheggi o condomini, e per placare la coscienza ogni tanto viene inaugurata una targa commemorativa, senza che ciò basti a guarire dalle antiche ostilità, dai vecchi rancori, dagli atavici pregiudizi.

Diciamolo senza troppi giri di parole: a ottant’anni dalla Shoah, a Varsavia e dintorni l’ombra dell’antisemitismo non si è dissolta, ma ha semplicemente cambiato forma. Eppure le camere a gas di Auschwitz, Treblinka, Sobibor, Majdanek non sono solo nomi sulle mappe o reperti di macabra archeologia.

Girando per il vecchio continente siamo inseguiti sempre dalla stessa domanda: che ne abbiamo fatto, noi europei, del nostro passato feroce? Alla quale se ne aggiunge un’altra: come vivono gli ebrei nella Polonia del 2025?

Questioni scomode, alle quali aveva già cercato di rispondere quasi mezzo secolo fa Claude Lanzmann, autore di Shoah, un documentario di straziante verità. Girato tra il 1975 e il 1985, uscì dopo oltre dieci anni di lavoro testardo di questo ebreo francese e partigiano, intellettuale gauchiste, che – evitando la scorciatoia delle immagini d’archivio – voleva raccontare non tanto il passato recente quanto l’indecenza del presente.

Lanzmann si aggirò per la Polonia comunista interrogando sopravvissuti e carnefici, contadini e borghesi, intellettuali e commercianti, giovani e vecchi, uomini e donne. Nelle città, nei paesi, nelle birrerie, nelle strade. Lo fece senza dare tregua né a chi intervistava, né – poi – a noi che fummo spettatori di quel lungo, assillante racconto.

A volte nascondeva la cinepresa. E allora ecco riemergere ciò che altrimenti nessuno avrebbe mai ammesso. Quelle interviste testimoniavano una realtà scomoda: l’antisemitismo non era solo una questione tedesca, ma un sentimento radicato, diffuso e trasversale anche nella Polonia di Gierek, Kania e Jaruzelski.

Alcuni degli intervistati sbuffavano infastiditi, digrignavano i denti, insultavano irritati, ridacchiavano, deridevano. Altri ricordavano con aria annoiata. Altri ancora – e non pochi – con svergognato compiacimento.

In Polonia vivono oggi tra i 17.000 e i 25.000 ebrei, su una popolazione di circa 38 milioni: una minoranza pressoché invisibile nei numeri, ma culturalmente viva, soprattutto a Varsavia, Cracovia e Wrocław. Una comunità che conserva con ostinazione la propria storia, ma che deve anche confrontarsi con episodi sempre più tossici.

A maggio 2024, durante la Marcia della Vita ad Auschwitz, un gruppo di attivisti pro-Palestina ha fatto irruzione sbraitando slogan contro Israele. A Cracovia, in una manifestazione studentesca, sono comparsi cartelli con la scritta “Jude zur Gaskammer” (“Ebrei alle camere a gas”). Il 1° maggio 2024, a Varsavia, una quindicenne ha lanciato tre molotov contro la sinagoga Nożyk: il più grave attacco contro un luogo di culto ebraico da decenni.

Nel 2023 si sono registrati circa 500 episodi antisemiti, il 20% dei quali classificati come crimini d’odio. I numeri saranno pure legnosi, ma spesso dicono più delle parole – che, del resto, non mancano. Il 12 dicembre dello stesso anno, due mesi dopo il pogrom nel sud di Israele, il deputato ultra-cattolico Grzegorz Braun ha spento con un estintore la menorah accesa al Parlamento durante Hanukkah, definendola un “rituale talmudico estraneo alla nazione polacca”: gesto che ha provocato qualche moto d’indignazione ma anche molti consensi.

La società civile è divisa. L’associazione “Never Again” e vari centri di studio sulla Shoah denunciano con forza il ritorno dell’odio, mentre nelle università si moltiplicano le sigle studentesche propal che coniugano antisionismo e antisemitismo.

Le decisioni governative appaiono dettate più dalle contingenze che da una visione coerente. Dopo l’attacco alla sinagoga, il presidente Andrzej Duda ha dichiarato che, guarda un po’, “non c’è posto per l’antisemitismo in Polonia”, e la Procura ha – ohibò – avviato un’inchiesta sul gesto dello sciagurato parlamentare. Peccato che manchi un piano nazionale. Che non esistano programmi per le scuole. Che non sia prevista alcuna formazione per le forze dell’ordine.

L’antisemitismo continua a essere considerato un problema “del passato”, da commemorare una volta l’anno con l’aria compunta che occasioni simili sembrano richiedere.

L’ultimo episodio, avvenuto nel luglio 2025, non fa che confermare la tendenza: il cimitero ebraico di Dukla, risalente al XVIII secolo e contenente una fossa comune della Seconda Guerra Mondiale, è stato profanato. Sulla targa commemorativa dell’Olocausto una vernice spray ha disegnato una svastica e la parola “Palestina”.

Odio antico e fanatismo contemporaneo si sommano, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
L’Associazione Dukla Shtetl (organizzazione no-profit impegnata nella salvaguardia della memoria e del patrimonio ebraico della regione) ha condannato con fermezza l’atto, offrendo laboratori educativi rivolti anche agli autori del gesto, nella speranza che comprendano la gravità delle loro azioni.

Noi, qui, ancora a chiederci: quanto tempo dovrà passare prima che si riconosca l’antisemitismo non come un capitolo chiuso, ma come una ferita aperta?

Claude Lanzmann ci ha insegnato che la memoria non è esercizio retorico. È una responsabilità.
Se oggi la negazione dell’ebraismo si traveste da critica politica, se la Shoah viene relativizzata per attaccare Israele, se la parola “sionista” viene lanciata come insulto, allora dobbiamo ammettere di vivere di nuovo in un’epoca pericolosa. Pericolosa non solo per gli ebrei, ma per tutti noi.

La Polonia ha un dovere speciale. Non solo verso il popolo ebraico, ma verso sé stessa. È su questo suolo che l’Europa ha toccato il suo abisso morale. È da qui che dovrebbe levarsi la voce più limpida, più netta, più vibrante.
Perché – non ci stancheremo mai di ripeterlo – la memoria senza coscienza è materia oziosa e  inservibile.


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