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UNRWA, gli USA pronti a colpire

Rosa Davanzo

Tempo di Lettura: 4 min
UNRWA, gli USA pronti a colpire

Per anni UNRWA è stata trattata come una presenza intoccabile: una grande macchina umanitaria che nessuno osava mettere davvero in discussione, pena l’accusa immediata di cinismo, disumanità, complicità con la sofferenza dei palestinesi. Il 12 dicembre l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato a larga maggioranza – 139 voti favorevoli – una risoluzione che chiede a Israele di cooperare con l’Unrwa e di facilitarne l’operato. Un voto politicamente pesante ma giuridicamente non vincolante, che arriva mentre sull’agenzia si accumulano accuse documentate di collusione con Hamas e mentre diversi Paesi occidentali hanno sospeso o rivisto i finanziamenti. Ancora una volta, l’Onu sceglie di blindare l’Unrwa con una investitura politica, evitando accuratamente di affrontare il nodo centrale: se un’agenzia che ha perso credibilità, controllo interno e neutralità possa continuare a operare come se nulla fosse. Eppure anche questa zona franca sta cedendo.

Negli Stati Uniti, l’amministrazione Trump sta infatti valutando l’ipotesi di colpire l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi con sanzioni legate al terrorismo. Non un gesto simbolico, ma un cambio di paradigma. Le discussioni all’interno del Dipartimento di Stato sono avanzate e sul tavolo c’è tutto: dalle sanzioni mirate contro singoli funzionari fino a uno scenario estremo, quello della designazione di UNRWA come organizzazione terroristica straniera. Per ora nessuna decisione finale, ma il fatto stesso che se ne parli dice molto. E cioè che qualcosa si è rotto definitivamente.

UNRWA opera dal 1949 in Gaza, Cisgiordania, Libano, Giordania e Siria. Gestisce scuole, cliniche, servizi sociali, campi profughi. È da decenni il perno dell’assistenza ai palestinesi registrati come rifugiati, una categoria che UNRWA stessa ha contribuito a rendere ereditaria, unica al mondo. Per l’Onu e per una parte consistente della comunità internazionale, è “la spina dorsale” della risposta umanitaria a Gaza. Per Israele e ora anche per Washington, è ben altro.

Israele ha accusato l’agenzia di collusioni strutturali con Hamas: non solo singoli dipendenti coinvolti nell’attacco del 7 ottobre 2023, ma un ambiente permeabile all’ideologia jihadista, scuole in cui l’odio viene normalizzato, strutture utilizzate come copertura logistica. Accuse documentate, non slogan. Gli Stati Uniti hanno sospeso i finanziamenti già nel gennaio 2024. Nell’ottobre successivo, il segretario di Stato Marco Rubio ha detto ciò che fino a poco tempo prima era considerato indicibile: UNRWA è diventata, di fatto, una sussidiaria di Hamas.

La reazione dell’agenzia è quella consueta tra sdegno, autoassoluzione e appello alla neutralità. I suoi dirigenti ricordano le inchieste interne e indipendenti che avrebbero scagionato UNRWA da responsabilità sistemiche. Ma il punto non è più solo giuridico quanto politico, culturale e strategico perché UNRWA è parte del problema che dice di gestire. Mantiene in vita, da oltre settant’anni, un’idea di rifugiato che non mira alla soluzione ma alla perpetuazione. Alimenta un sistema educativo e simbolico in cui Israele non è un vicino con cui fare i conti, ma un’entità illegittima da cancellare. In questo senso, la linea che separa assistenza e complicità diventa sottile, talvolta invisibile.

Un’eventuale sanzione avrebbe effetti enormi. Metterebbe in crisi l’intero sistema degli aiuti, già fragile. Colpirebbe milioni di persone. È l’argomento che frena molti diplomatici. Ma c’è una domanda che non può più essere elusa: quanta parte della crisi umanitaria è il risultato di un sistema che, invece di disinnescare il conflitto, lo cristallizza? Per decenni l’Occidente ha preferito non vedere. Ha finanziato, delegato, voltato lo sguardo. Ora Washington sembra disposta a fare ciò che nessuno ha mai fatto sul serio: trattare UNRWA non come un dogma, ma come un soggetto politico, responsabile delle proprie scelte e delle proprie omissioni. Non siamo ancora alle decisioni, ma sicuramente un segnale è partito e dice che il tempo dell’immunità automatica, forse, sta finendo.


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