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Università USA. Sangue, stelle e ipocrisie accademiche

Paolo Montesi

Tempo di Lettura: 3 min
Università USA. Sangue, stelle e ipocrisie accademiche

All’Università di Cornell, dove il progressismo d’élite ama travestirsi da coscienza morale del mondo, un professore ha pensato bene di esporre la sua visione del conflitto mediorientale: un’opera con una Stella di David insanguinata, dentro la quale campeggiano le lettere “SS”. Una trovata artistica, dice lui, insistendo a definirla una “provocazione visiva”, aggiungendo — come ormai siamo abituati a sentire —: “non volevo offendere nessuno”.

Karim-Aly Kassam è il nome di questo esimio docente, con tanto di titoli e cattedra, che ha pubblicato il disegno sul giornale studentesco The Cornell Daily Sun accompagnandolo con un articolo dal titolo poetico quanto allucinato: “Thousand & One Eyes for an Eye (1001 occhi-per-occhio)”. In questo pezzullo di puro antisemitismo, Israele viene accusato di “genocidio”, mentre la Stella di David sporca di sangue — che per decenni è stata simbolo di persecuzione — viene trasformata in un’infame icona di accusa. “È stato un fraintendimento”, ribadisce il professore appena scoppia la bufera, mentre la libertà accademica si invoca sempre dopo aver sparato, mai prima di pensare.

Il giornale ha ritirato l’immagine, scoprendo improvvisamente che poteva “causare danni viscerali” ai lettori. Peccato, però, che il danno era già fatto. Non solo ai lettori ebrei, che devono ancora una volta giustificare il proprio diritto di esistere senza dover firmare petizioni di autocontrollo, ma all’intera cultura universitaria, che sembra non essere più capace di distinguere tra critica e ossessione, tra dissenso e disprezzo.

Un collega di Kassam, il giurista William Jacobson, l’ha argomentato con lucidità: “Non parla di Israele, parla degli ebrei”. Ed è proprio questo il punto. Il nuovo antisemitismo non arriva più con le svastiche sulle pareti, ma con le illustrazioni concettuali, le conferenze di “dialogo interculturale”, le mostre finanziate con fondi pubblici. È materia colta, articolata, spesso nutrita dal pensiero cosiddetto liberal, o di sinistra come lo conosciamo in Europa.

Cornell non fa eccezione. È un laboratorio dove la tolleranza è stata anestetizzata, dove l’odio si traveste da critica legittima e la codardia da libertà di pensiero. I muri dell’ateneo, già imbrattati da scritte contro Israele, parlano chiaro: “Israel Bombs, Cornell Pays”. Già, e a pagare sono gli studenti ebrei, costretti a camminare nei corridoi come se dovessero chiedere permesso.

Di solito, quando una società comincia a confondere l’arte con la diffamazione e la libertà con l’intimidazione, c’è poco da fare i raffinati esegeti: la soglia è stata abbondantemente superata. E quando un’università come Cornell — una delle culle del pensiero americano — smette di riconoscere la differenza tra un manifesto e una macchia di sangue, il problema non è l’opera di un singolo professore, ma quell’odore di decomposizione morale che viene proprio dai piani alti.


Università USA. Sangue, stelle e ipocrisie accademiche
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