Israele non è solo forza militare. Nella storia ha affidato la propria sicurezza a uno straordinario, super tecnologico, sistema di difesa con il quale ha sempre dovuto respingere le aggressioni e disarmare nemici che vogliono la sua distruzione, non la pace. Ma la sicurezza di Israele è garantita dagli israeliani, i giovani e le giovani che spendono fino a tre anni della loro vita per imparare a combattere e difendere il loro paese. Un esercito del popolo, che innerva la vita sociale, professionale e politica di tutti (quasi tutti).
L’eventualità del terrore è insita nella consapevolezza degli israeliani: i genitori sanno il rischio che corrono i loro figli quando prendono l’autobus per andare a scuola, quando si incontrano per gli aperitivi negli affollati bar delle vivacissime città israeliane. Tanti attentati sono stati sventati dai passanti.
La forza militare di Israele è sempre stata accompagnata, guidata, seguita da una capacità di intelligence che non ha eguali al mondo. Lo straordinario gioco di squadra tra politica, esercito di popolo, intelligence e forze dell’ordine ha sempre fatto sentire gli israeliani protetti.
E ogni successo militare raggiunto da Israele ha aperto la strada a una intelligente strategia diplomatica: è successo nel 1979 con il trattato di pace con l’Egitto (il primo paese arabo a riconoscere Israele), con la Giordania nel 1994, fino agli Accordi di Abramo, con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, e poi con il Marocco e il Sudan. Una lunga storia di guerra, di popolo, di intelligenza diplomatica, di forte alleanza con gli Stati Uniti e di forte sostegno degli ebrei dal mondo.
L’Europa dopo il 7 ottobre ha voltato le spalle a Israele. La sua ipocrisia, e la paura per la crescente pressione interna dei musulmani radicali, ha portato molti governi europei a non voler riconoscere che la guerra di Israele contro il terrorismo islamico è la nostra guerra.
Il mondo arabo è sempre stato militarmente debole e disorganizzato e profondamente diviso al suo interno. La volontà di predominio del regime iraniano o della Turchia ha spinto le altre realtà regionali a cercare un’interlocuzione con Israele. Su quella debolezza e su quella divisione Israele ha sempre lavorato per rompere l’assedio del rifiuto arabo alla sua esistenza, unendo forza militare a capacità politica.
La riunione di ieri a Doha ha fatto tornare indietro Israele di 50 anni. L’Egitto è stato uno dei paesi più duri contro Israele in quell’incontro, invocando un coordinamento militare. Lo sceicco del Qatar, Al Thani, era raggiante! Per la prima volta ha ottenuto la solidarietà da regimi arabi nemici. E ha ottenuto una dichiarazione di amicizia da Trump, finora riservata solo a Israele. Era seduto al tavolo persino Masoud Pezeshkian, Presidente iraniano, alla guida del governo del regime degli Ayatollah sciita che finanzia Hamas, Hezbollah, Houti ed è odiato dai regimi sunniti, che ne vogliono distruggere la capacità militare tesa a egemonizzare il Medio Oriente. C’era Erdogan, attivo in incontri bilaterali come non mai.
Israele non sopravvive di sola forza militare. Deve ritrovare la strada dell’intesa con i paesi moderati dell’area, deve tornare a rompere il fronte. Non potrà sconfiggere l’Islam radicale con la sola forza delle armi. L’apparato militare e di sicurezza israeliano ha ottenuto risultati straordinari in questi due anni, ora ha bisogno che siano i regimi arabi moderati a disarmare Hamas, ha bisogno che gli Accordi di Abramo tornino nell’agenda dei paesi arabi che si erano già resi disponibili.
E soprattutto Israele ha bisogno degli israeliani e degli ebrei nel mondo. Il 78% degli israeliani vuole il rilascio degli ostaggi subito, la fine della guerra, il disarmo di Hamas, la normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita, non vuole occupare Gaza o la Cisgiordania, ma vuole la netta separazione dai palestinesi e la costruzione di una coalizione regionale contro l’Iran.
Israele ha bisogno degli israeliani, il mondo libero ha bisogno di Israele.
Un nuovo patto
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