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Udine, Italia-Israele e i professionisti dell’indignazione

Nicoletta Ferragni

Tempo di Lettura: 3 min
Udine, Italia-Israele e i professionisti dell’indignazione

«Rinviare la partita Italia-Israele sarebbe opportuno». Così il sindaco di Udine, Alberto Felice De Toni, ha acceso un dibattito surreale: davvero lo sport deve piegarsi alla propaganda, fino a trasformarsi in tribunale politico? Il match del 14 ottobre non è solo una sfida calcistica, ma un banco di prova di civiltà. E chi ne chiede la cancellazione tradisce lo spirito stesso dello sport: unire laddove la guerra divide.

Italia-Israele non si dovrebbe giocare? È una considerazione del sindaco di Udine, che rispetto. «Io sono un uomo di pace e mi auguro che in tutto il mondo ci sia la pace. Fa male al cuore vedere civili e bambini che ci lasciano la vita, dopo però noi facciamo un altro mestiere». Queste le parole del ct della Nazionale Rino Gattuso, nella sua prima conferenza stampa dal ritiro di Coverciano in vista degli impegni contro Estonia e Israele validi per la qualificazione al Mondiale 2026. «Israele è nel nostro girone, ci dobbiamo giocare», ha aggiunto.

Il Viminale ha già chiarito che «la partita si può giocare» e non esistono rischi per l’ordine pubblico. Ma per i professionisti dell’indignazione non basta mai. Così, ecco spuntare la nota del deputato Avs e co-portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli. Un testo che sembra uscito da un manuale di agit-prop, condito da numeri a casaccio e scenari apocalittici.

«La decisione del Viminale di confermare lo svolgimento della partita di calcio tra Italia e Israele, in programma il 14 ottobre a Udine, rappresenta una scelta gravissima e politicamente irresponsabile», attacca Bonelli. Secondo lui Israele starebbe compiendo «una delle più imponenti deportazioni della storia dell’umanità» e l’Italia, ospitando la partita, «legittimerebbe» questo presunto genocidio. Poi la litania di cifre, senza fonti verificabili: «60.000 civili palestinesi uccisi, tra cui 20.000 bambini». Infine il parallelo col Sudafrica dell’apartheid, come se uno stadio di calcio in Friuli fosse la nuova Robben Island.

Si arriva così all’assurdo: mentre l’Uefa e la Figc preparano iniziative a favore delle vittime civili – palestinesi e israeliane – il deputato ecologista trasforma un incontro sportivo in una seduta del Tribunale di Norimberga. Ma non contro Hamas, autore del massacro del 7 ottobre: contro Israele, colpevole di difendere i propri cittadini.

La verità è semplice: chi invoca cancellazioni, rinvii, scomuniche e anatemi non difende la pace, ma la propaganda. E quando la politica cerca di piegare il pallone alle sue crociate ideologiche, non colpisce Israele, ma lo sport stesso.


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