Home > Approfondimenti > Trump e i visti palestinesi: una scelta politica, non discriminatoria

Trump e i visti palestinesi: una scelta politica, non discriminatoria

Andrea Molle

Tempo di Lettura: 3 min
Trump e i visti palestinesi: una scelta politica, non discriminatoria

La decisione dell’amministrazione Trump di sospendere il rilascio di visti non-immigranti a chi viaggia con passaporto dell’Autorità Palestinese ha suscitato reazioni indignate. Molti l’hanno definita una misura eccessiva, altri l’hanno interpretata come un atto discriminatorio. Eppure, se si analizzano i presupposti legali e politici, emerge che il provvedimento poggia su basi solide e appare coerente con gli interessi degli Stati Uniti.

Sul piano giuridico non si tratta di un’innovazione arbitraria, ma dell’applicazione di strumenti già previsti dall’ordinamento americano. La normativa sull’immigrazione consente infatti al Dipartimento di Stato di sospendere o negare i visti quando vi siano motivi di sicurezza nazionale o di politica estera. Questa facoltà è stata esercitata più volte in passato nei confronti di Paesi considerati instabili o collegati ad attività terroristiche. Va ricordato che il passaporto palestinese non è emesso da uno Stato sovrano pienamente riconosciuto: è un documento amministrativo la cui validità dipende in larga parte dalla disponibilità dei Paesi ospitanti. Ciò ne rende problematico l’utilizzo per l’ingresso negli Stati Uniti.

Anche la dimensione politica è determinante. Negli ultimi anni l’Autorità Palestinese ha mantenuto un atteggiamento ambiguo nella lotta al terrorismo e nella cooperazione internazionale. Non ha fornito garanzie credibili di voler contrastare l’incitamento alla violenza e ha spesso mantenuto una retorica ostile. In questo contesto Washington ha scelto di inviare un segnale di fermezza. Negare l’uso del passaporto dell’Autorità Palestinese per ottenere visti non significa colpire indiscriminatamente i cittadini, bensì responsabilizzare una leadership che rivendica diritti senza offrire contropartite in termini di affidabilità.

La misura, inoltre, non priva i palestinesi di ogni possibilità di viaggiare negli Stati Uniti. Chi dispone di un secondo passaporto può continuare a fare domanda e chi già possiede un visto valido non lo perde. Non si tratta dunque di un divieto assoluto, ma di una restrizione mirata che distingue tra individui e istituzioni, colpendo soprattutto l’uso di un documento che non gode di piena legittimità internazionale.

In conclusione, la scelta dell’amministrazione Trump non va letta come un atto di esclusione etnica o religiosa, ma come una decisione politica fondata su un principio chiaro: la sovranità e i relativi benefici non possono essere rivendicati senza assumersi responsabilità concrete. Finché l’Autorità Palestinese non mostrerà la volontà di comportarsi da soggetto affidabile nelle relazioni internazionali, Washington avrà pieno diritto di tutelare i propri interessi utilizzando gli strumenti legali già previsti dal suo ordinamento..


Trump e i visti palestinesi: una scelta politica, non discriminatoria
Trump e i visti palestinesi: una scelta politica, non discriminatoria Trump e i visti palestinesi: una scelta politica, non discriminatoria