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Tra repressione e prevenzione: i casi Hannoun e dell’Imam di Torino

Come tutelare la sicurezza dei cittadini oltre alle misure giudiziarie.

Alessandro Bertani

Tempo di Lettura: 4 min
Tra repressione e prevenzione: i casi Hannoun e dell’Imam di Torino

Due recenti vicende offrono l’occasione per confrontare i due modelli a disposizione dell’ordinamento per la tutela della sicurezza nazionale e il contrasto al fondamentalismo islamista: la repressione e la prevenzione.

La prima vicenda è quella che ha portato all’arresto di Mohammad Hannoun, vertice della rete italiana di Hamas, finalmente colpito dopo mesi di impunità e di contiguità con la solita parte politica che non trova di meglio che circondarsi di simili personaggi. Un’operazione importantissima (pur se accompagnata dal riferimento dei PM, inutile e fuori luogo, ai presunti crimini di Israele a Gaza), che comunque richiederà tempo per giungere a conclusione. Questo è il piano della repressione: necessario, ma che interviene a posteriori, quando i reati si sono già consumati.

I risultati del caso Hannoun non devono far dimenticare che la sicurezza dello Stato si tutela soprattutto con la prevenzione, attraverso misure amministrative che, per loro natura, sono più rapide ed efficaci, pensate per anticipare i fenomeni e non per inseguirli. Operano su un livello diverso dall’accertamento della responsabilità giudiziaria e richiedono una soglia probatoria più bassa, fondata su valutazioni prognostiche della pericolosità di un soggetto (il criterio elaborato in giurisprudenza del “più probabile che non”). È su quest’ultimo piano che si colloca la vicenda dell’Imam di Torino, che ha però messo in evidenza ciò che non funziona nel sistema di prevenzione del terrorismo.

Cosa è accaduto di preciso? Tutto è iniziato con il decreto di espulsione adottato dal Ministro dell’Interno per motivi di sicurezza, misura amministrativa di prevenzione prevista dalla legge. La prevenzione si fa proprio in quel modo: con lo strumento amministrativo, efficace e al contempo garantista, perché sottoposto al controllo del giudice amministrativo. Non a caso, lo stesso Imam ha impugnato il decreto davanti al TAR di Torino, che ha tuttavia respinto la richiesta di sospendere l’espulsione.

In effetti, non c’erano molti margini per accoglierla, dato che la valutazione di pericolosità si fonda su tre elementi solidi e convergenti:

le dichiarazioni sul 7 ottobre, con cui l’Imam ha legittimato l’attacco di Hamas e invitato altri Imam a fare altrettanto: per il ruolo che ricopre, quelle parole rischiano seriamente di influenzare la comunità di riferimento;

le frequentazioni con personaggi molto radicalizzati, come Giuliano Ibrahim Delnevo, foreign fighter morto in Siria, e Elmahdi Halili, condannato per apologia di terrorismo e legato allo Stato Islamico;

l’appartenenza alla Fratellanza Musulmana, centrale per capire chi è davvero l’Imam: un membro della rete islamista messa al bando in mezzo mondo per il suo fondamentalismo, tant’è che la stessa Hamas dichiara di esserne espressione.

Non era abbastanza per espellere l’Imam? Evidentemente no, se è bastato che presentasse una domanda di protezione internazionale, perché l’iter venisse sospeso e fosse disposto il trattenimento nel CPR, in attesa della convalida da parte del giudice (ordinario, non più amministrativo).

Quella domanda è stata solo il grimaldello per sfruttare le falle del sistema, per spostare la vicenda dal piano della sicurezza nazionale a quello della richiesta di asilo e della protezione internazionale. A quel punto, è intervenuto un giudice – non certo estraneo alla politicizzazione di una parte della magistratura – che ha riesaminato il caso e ha disposto che l’Imam tornasse in libertà, nonostante altri due magistrati avessero in precedenza convalidato il trattenimento.

Tutti i precisi indizi sulla pericolosità sono così caduti: le dichiarazioni sul 7 ottobre? Mere opinioni. Le frequentazioni? Troppo datate. L’appartenenza alla Fratellanza Musulmana? Nemmeno presa in esame. Invece, la distribuzione di testi della Costituzione tradotti in arabo è divenuta Gli ottimi risultati del caso Hannoun non devono far dimenticare che la sicurezza nazionale si gioca soprattutto sul terreno della prevenzione, la prova regina della perfetta integrazione dell’Imam nella società: come dire che i mafiosi sono pii uomini di Chiesa, sol perché spesso si circondano di effigi sacre…

Una riforma del sistema di prevenzione è, dunque, indispensabile. Vanno insomma valorizzate le misure amministrative di prevenzione. Si può pensare ad una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ma, soprattutto, si devono prevedere per i soggetti ritenuti pericolosi meccanismi ad hoc che, pur garantendo l’accesso alle procedure di protezione internazionale, non comportino l’immediato ripristino di una piena libertà di movimento, almeno fino alla definizione del giudizio sulla misura amministrativa. Le soluzioni sono tante. Ma è certo che non possiamo permetterci di trattare figure come l’Imam al pari di un richiedente asilo qualsiasi.


Alessandro Bertani
Avvocato amministrativista, abilitato al patrocinio dinanzi alle Giurisdizioni Superiori


Tra repressione e prevenzione: i casi Hannoun e dell’Imam di Torino
Tra repressione e prevenzione: i casi Hannoun e dell’Imam di Torino