Ilan Greilsammer è professore emerito di Scienze Politiche all’Università di Bar Ilan, Israele. In Italia ha pubblicato Il sionismo (Il Mulino)
Prof. Greilsammer, cosa sta succedendo in Israele?
C’è un primo ambito che è Gaza. Grazie al presidente Trump c’è stato un accordo, che corrispondeva ovviamente ai suoi interessi. Tutti gli ostaggi vivi sono stati restituiti, così come quasi tutti i corpi degli ostaggi morti. La questione degli ostaggi è praticamente conclusa. E questo è un risultato formidabile dovuto certo a Trump, ma anche al movimento di manifestazione e di protesta, che ha mostrato non solo a Trump, ma a molti altri che la questione degli ostaggi era un tema fondamentale per la società israeliana.
Tuttavia, il resto del programma di Trump non si è realizzato, e tutto è fermo. La fase successiva avrebbe dovuto essere il disarmo di Hamas a Gaza e la smilitarizzazione dell’intera Striscia con l’arrivo di un contingente internazionale che avrebbe dovuto ristabilire la sicurezza. Questo non è ancora avvenuto. Israele si trova ancora su circa il 50% del territorio della Striscia, ciò che si chiama la linea gialla e ci sono regolarmente scontri proprio lungo quel limite. Da un lato, c’è Hamas che si rimilitarizza completamente, che recluta, che dispone di armi, che ricostruisce tunnel e così via. Dall’altro, c’è l’esercito israeliano che è lì e non si muove finché il resto del programma di Trump non sarà attuato. Quindi, per concludere su questo punto, il bilancio è misto: da un lato abbiamo ottenuto la restituzione degli ostaggi, ma dall’altro nulla è realmente cambiato nella lotta contro Hamas.
Come vive Isreale tutto questo?
Da un lato, credo che le persone siano innanzitutto molto contente che gli ostaggi siano tornati. Dall’altro, non sono sicuro che la maggioranza si renda conto che, in realtà, nulla è stato risolto a questo punto. Ovviamente, i problemi riemergeranno presto. Per il momento, la gente tira un po’ il fiato e cerca di ricostruire tutto ciò che è stato distrutto. Ci sono ancora moltissimi israeliani che hanno lasciato la loro casa durante questa guerra, sia al Sud sia al Nord, e che non sono ancora rientrati. Poi, in Israele un argomento ne sostituisce un altro, al contrario di altri Paesi che sono tranquilli e dove non succede granché. Qui, invece, succede sempre qualcosa di nuovo. Penso che ora ciò che soprattutto si profila all’orizzonte siano le elezioni che avranno luogo in Israele l’anno prossimo. Se non verranno anticipate, si terranno nell’ottobre 2026. Tutti gli uomini politici e tutti i partiti stanno riprendendo le attività, discutono e organizzano quella che sarà la loro propaganda per le prossime elezioni. Dunque, questo è il tema che in gran parte ha sostituito la questione di Gaza nella mente delle persone.
Lei pensa che la seconda fase dell’accordo sarà attuata? Oppure non è possibile arrivare a un disarmo di Hamas?
-Il punto è che tutto ciò che è stato realizzato finora è avvenuto perché Trump lo voleva, perché ha messo tutto il suo peso politico nella cosa. Ha visto in questo un suo interesse personale e politico. Ma conosciamo Trump. Trump è qualcuno che cambia interesse di continuo: adesso si occupa dell’Ucraina, e poi si occuperà di altre cose. Sembra che abbia perso interesse nel proseguire la questione di Gaza. E se ha perso interesse, non succederà nulla, perché nessuno costringerà Hamas a smilitarizzarsi, e penso che nessuno costringerà Israele a ritirarsi. Quindi è un po’ un problema quando tutta l’evoluzione dipende da una persona che cambia idea come una banderuola, passando da un argomento all’altro, da un interesse all’altro.
Cosa pensa dell’antisemitismo che vediamo in quasi tutto il mondo?
Ci sono state molte emozioni, molte tragedie che hanno alimentato tutto questo, ma vedo che non si è fermato lì. Sta andando sempre peggio: c’è ancora un movimento di boicottaggio contro le università israeliane, e le persone accusano ancora Israele di occupazione, di voler prendere Gaza, di genocidio, e così via. C’è la forza delle immagini nel mondo di oggi. Le persone fuori da Israele hanno visto immagini terribili delle distruzioni, dei morti, di tutto ciò che Israele ha fatto nella Striscia di Gaza. Senza parlare subito di antisionismo o antisemitismo, penso che molte, moltissime persone siano rimaste sconvolte e traumatizzate da ciò che hanno visto. Questo non significa che queste persone non condannino il massacro del 7 ottobre, ma il massacro del 7 ottobre, per la maggior parte delle persone fuori da Israele, appartiene già al passato. Quello che rimane nella loro mente sono queste altre immagini, che bisogna riconoscerlo, anche quando si è israeliani e sionisti, sono immagini terribili.
C’è anche il fatto che ovviamente tutti i pro-palestinesi e anti-israeliani hanno colto l’occasione per fare della sovrainterpretazione: non solo reagire alle immagini, ma anche affermare immediatamente che Israele ha commesso i peggiori crimini dell’umanità, il genocidio, e così via. Dunque è un movimento che Israele non ha conosciuto in passato: è qualcosa di nuovo. Ci sono sempre state persone contro Israele, ma ora si tratta davvero di una sorta di odio verso Israele, di ostilità intensa nei confronti di Israele nel mondo, che noi in Israele non abbiamo mai conosciuto. Questo si traduce nel fatto che, innanzitutto, nei social media e negli strumenti d’informazione in generale fuori da Israele c’è una sorta di ripetizione continua dei “crimini di Israele”, del “genocidio” e le persone sono quindi molto agitate su questo tema. Questo si traduce in un boicottaggio che non colpisce solo — si potrebbe dire — i militari israeliani, le armi israeliane, l’industria della difesa israeliana. No: si è esteso largamente al boicottaggio degli israeliani in quanto tali, qualunque sia il loro rapporto con ciò che è accaduto a Gaza. Quindi il boicottaggio delle università e degli accademici, che è piuttosto grave, poiché gli israeliani non vengono più invitati a conferenze scientifiche e professionali, e quando sono stati invitati, vengono disdetti. E i giovani ricercatori che cercano di inviare articoli alle riviste vengono immediatamente rifiutati perché israeliani. Il boicottaggio si è esteso a molti altri ambiti: per esempio, agli artisti, che vengono anch’essi boicottati. Sappiamo, ad esempio, che all’Eurovision alcuni Paesi hanno dichiarato che, se i cantanti israeliani fossero invitati, loro non andrebbero. Dunque il boicottaggio si estende al teatro, alla musica, alla pittura, all’arte, ai musei e a molti altri settori, e riguarda un numero crescente di Paesi. Ci sono Paesi in cui la situazione è peggiore e Paesi in cui è meno grave. I Paesi peggiori oggi sono la Spagna e l’Irlanda. Questi sono Paesi che sono davvero ferocemente anti-israeliani. Ci sono altri Paesi europei che sono sensibilmente più equilibrati, in particolare la Germania, per esempio. Ma, nel complesso, Israele deve far fronte a un vero e proprio sollevamento di ostilità, ed è un problema molto serio, tanto più che non si è fermato con la fine della guerra a Gaza. Al contrario, è qualcosa che sembra restare, e persino amplificarsi in certi settori e in certi luoghi; e, secondo me, durerà ancora per un bel po’. Ora, c’è anche una dimensione che Lei ha evidenziato, cioè l’antisemitismo. Perché questa è stata l’occasione per gli antisemiti di saltare sul treno anti-israeliano. È il caso, ad esempio, del partito francese di Mélenchon, che si chiama La France Insoumise, il partito di estrema sinistra in Francia, e la cui piattaforma e il cui unico centro d’interesse è praticamente la Palestina ed essere contro Israele. E lì si legge l’antisemitismo tra le righe. È molto comodo per gli antisemiti dire che gli ebrei, che hanno sofferto della Shoah, del genocidio, compiono a loro volta un genocidio. Perché se loro compiono un genocidio, allora noi, cristiani ed europei, che abbiamo partecipato a quel genocidio contro gli ebrei, ne siamo esonerati, perché gli ebrei fanno la stessa cosa.
Hamas, per giustificare il 7 ottobre, ha dichiarato più volte che temeva che la questione palestinese venisse dimenticata. In particolar modo, temeva che Israele, che è negli Accordi di Abramo, venisse riconosciuta da paesi arabi che ad oggi non hanno ancora rapporti diplomatici con Israele. Gli Accordi di Abramo sono parte del piano di Trump. Ora, cosa succede rispetto a ciò?
Certamente ci sono forze nel mondo arabo che sono state furiose per l’evoluzione del processo di normalizzazione tra Israele e alcuni paesi arabi, soprattutto per gli Accordi di Abramo e la normalizzazione con gli Emirati Arabi Uniti, con il Bahrein e con il Marocco. Si può immaginare che in gran parte la volontà di compiere il massacro del 7 ottobre fosse legata alla volontà di fermare questo processo di normalizzazione. Alla vigilia degli eventi del 7 ottobre, l’Arabia Saudita sembrava davvero sulla buona strada verso una normalizzazione con Israele. Se ne parlava, il principe ereditario ne parlava, e quindi per molti era necessario fermare tutto questo. Ci sono riusciti, nella misura in cui alcuni Paesi, che forse avrebbero normalizzato le loro relazioni con Israele, si sono fermati a causa dell’attività militare a Gaza. Ora che la situazione è un po’ più stabilizzata, Trump, che cerca l’amicizia dell’Arabia Saudita e che ha degli interessi lì, vorrebbe riprendere il processo di normalizzazione. Ma ora le cose sono senza dubbio meno semplici rispetto a prima del 7 ottobre, perché un paese come l’Arabia Saudita, per esempio, non può, dopo tutte queste immagini di ciò che Israele ha fatto a Gaza, dire semplicemente: “Va bene, dimentichiamo tutto e normalizziamo le relazioni con Israele.” È per questo motivo che l’Arabia Saudita ha detto: siamo pronti a riprendere il processo di normalizzazione, ma devono esserci sviluppi verso uno Stato Palestinese. Uno Stato Palestinese accanto a Israele, la soluzione dei due Stati. Perché se non c’è questo, allora non si può normalizzare con Israele.
Sappiamo che l’attuale governo israeliano, molto di destra, non vuole sentire parlare nemmeno della possibilità di uno Stato Palestinese, per questo le cose sono relativamente bloccate su questo punto. Personalmente non credo che l’Arabia Saudita rinuncerà alla richiesta di fare almeno qualche passo verso la soluzione dei due Stati per normalizzare i rapporti con Israele.
Nell’opposizione israeliana, c’è qualcuno che ha fatto propria la proposta dei due Stati in vista anche delle prossime elezioni?
È solo la sinistra israeliana, ad oggi è essenzialmente il partito dei Democratici guidato da Yair Golan, che è favorevole a riprendere il processo di negoziazione sulla soluzione dei due Stati. Secondo i sondaggi, questo partito otterrebbe circa 10-11 deputati su 120, cioè circa un dodicesimo della popolazione. I partiti di destra si oppongono totalmente e formalmente. I partiti di centro-sinistra, come Gesher o il partito di Benny Gantz, non hanno dichiarato di essere favorevoli alla soluzione dei due Stati per i due popoli. Si guardano bene dal dire qualcosa in questo campo, per paura di non essere abbastanza popolari. Quindi, in definitiva, è a sinistra, nella sinistra sionista, che questa richiesta della soluzione dei due Stati per i due popoli esiste, ma senza dubbio non nella maggioranza della popolazione. Non c’è una vera unità dell’opposizione, se non l’ostilità verso Benjamin Netanyahu. Questo è qualcosa che rischia di nuocere alla sinistra perché la destra, al contrario, riesce a unirsi. Questo rappresenta un problema molto evidente.
A un anno dalle elezioni purtruppo non è possibile, ma direi che l’opposizione dovrebbe svegliarsi e cominciare a unirsi attorno a dei progetti.
C’è però un tema su cui tutta l’opposizione è d’accordo: se l’opposizione dovesse arrivare al potere, la prima cosa che farebbe sarebbe istituire una commissione d’inchiesta nazionale sugli eventi del 7 ottobre. Questa commissione d’inchiesta nazionale è rifiutata assolutamente dal governo attuale. Quindi, su questo tutti i partiti di opposizione sono d’accordo: è la prima cosa da fare in caso di vittoria. A parte questo, sugli altri temi c’è divisione. Si è visto bene, per esempio, sulla pena di morte per i terroristi. Uno dei principali partiti di opposizione, quello di Avigdor Lieberman, Israele Beiteinu, ha votato a favore di questa legge. Gli altri partiti di opposizione si sono opposti. Quindi, la mancanza di unità dell’opposizione rappresenta un grande problema attualmente.
Tel Aviv, 1 dicembre 2025
Tel Aviv, 1 dicembre 2025

