Il teatro dell’assurdo di Ionesco, Beckett e Adamov aveva la grazia del paradosso, non la ferocia del ridicolo. Nella civilissima Inghilterra del 2025, un avvocato viene arrestato per aver indossato una collana con la Stella di David: offende i sentimenti dei manifestanti pro-palestinesi. Lo dicono sul serio. Non è una distopia, è un verbale di polizia. C’è una scena da commedia grottesca: un uomo ammanettato dietro la schiena, accusato di “provocare” una folla solo perché porta al collo il simbolo di un popolo. Gli agenti, zelanti fino all’idiozia, parlano di ordine pubblico. Ma l’ordine che difendono non è più pubblico: è quello della paura. Il nuovo galateo del terrore sentimentale, dove l’offeso ha sempre ragione, e l’ebreo – ancora una volta – deve giustificarsi per esistere.
Nel 1953 Beckett scriveva Aspettando Godot: due uomini aspettano un salvatore che non arriva mai. Oggi aspettiamo il ritorno del buon senso, che forse non arriverà più. In questa scena, il ruolo dell’assurdo lo recita la realtà: indossare una stella è “provocazione”, bruciare una bandiera è “espressione politica”, urlare “dal fiume al mare” è “opinione”. Il prossimo passo? Forse chiederanno agli ebrei di togliere la collana per non turbare la sensibilità dei carnefici.
Il teatro dell’assurdo, quello vero, almeno si chiudeva con un applauso. Questo, invece, con un silenzio vigliacco.
Teatro dell’assurdo
Teatro dell’assurdo
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