La vicenda del misterioso volo da Gaza a Johannesburg, con a bordo 153 passeggeri senza documenti tenuti per ore su una pista arroventata, ha avuto un finale imprevedibile. Il Sudafrica ha infatti revocato l’esenzione dal visto ai titolari di passaporto palestinese, dettaglio non burocratico, ma un cambio di rotta politico che mette a nudo un paradosso: mentre Pretoria accusa Israele di “deportare” i cittadini di Gaza, è proprio il governo sudafricano a chiudere la porta per evitare, parole sue, che i palestinesi vengano sfruttati di nuovo.
Il ministro Leon Schreiber ha spiegato la decisione con una franchezza per molti imbarazzante. Le indagini dei servizi interni, ha detto Schreiber, hanno rivelato che l’esenzione da 90 giorni veniva “sfruttata deliberatamente e persistentemente da attori israeliani” legati a programmi di “migrazione volontaria” da Gaza. Una definizione che scarica su Israele la responsabilità dell’intera operazione senza aver chiarito un punto semplice: chi ha messo quei 153 passeggeri su un charter rumeno diretto in Sudafrica, e perché.
La vicenda si complica con l’apparizione di una società chiamata Al-Majd, che si presenta come organizzazione umanitaria nata nel 2010 ma compare sul web solo da pochi mesi, senza indirizzo, senza telefono, senza tracce verificabili. Secondo varie ricostruzioni, l’azienda avrebbe organizzato il trasferimento dal valico di Rafah all’aeroporto israeliano di Ramon e da lì il volo verso il Kenya, per poi dirottarlo su Johannesburg. Biglietti pagati circa duemila dollari ciascuno, destinazioni finali dichiarate come India, Canada, Australia. Un mosaico incoerente che lascia dubbi più grandi delle risposte.
Ed è qui che scatta il cortocircuito. Pretoria accusa Israele di orchestrare un trasferimento di massa; contemporaneamente blocca l’unica agevolazione che rendeva possibile l’ingresso dei palestinesi nel Paese, perché, sostiene, i palestinesi stessi sono vulnerabili allo sfruttamento. Messaggio a dir poco ambiguo: i cittadini di Gaza vengono dichiarati vittime, ma vengono penalizzati come se fossero complici inconsapevoli di un disegno geopolitico.
Il risultato è un Sudafrica che continua a usare la causa palestinese come grimaldello politico contro Israele senza riuscire a proteggere sul serio le persone per cui dice di battersi. Gli stessi passeggeri rimasti per dodici ore nel caldo soffocante di un aereo senza acqua né cibo non sono immagini di cui Israele debba rispondere, bensì di cui Pretoria deve rendere conto: è stato il governo sudafricano a lasciarli bloccati, mentre cercava una versione ufficiale per giustificare l’incidente.
L’episodio mostra però un’altra verità, che molti fanno finta di ignorare e cioè che nel caos del dopo-7 ottobre, attorno a Gaza si muovono operatori opachi, intermediari improvvisati, agenzie fantasma e governi pronti a trarre vantaggi politici da ogni fuga, da ogni disperato, da ogni biglietto comprato da qualcuno che non si può individuare. Ma quando il Sudafrica sceglie di chiudere i suoi confini, riconosce implicitamente ciò che non vuole ammettere esplicitamente: il sistema è fragile, i palestinesi sono ricattabili, e i governi che li usano come strumenti geopolitici non stanno dalla loro parte.
Lo sfruttamento, insomma, c’è. Ma non sembra proprio che arrivi da dove ci si ostina a puntare il dito.
Sudafrica. Pretoria chiude, i palestinesi pagano

