Home > Smontaggi > Smontaggi. Israele oltre la guerra

Smontaggi. Israele oltre la guerra

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 3 min
Smontaggi. Israele oltre la guerra

C’è un modo semplice per capire quanto sia distorta la percezione di Israele: basta guardare ciò che il paese produce quando non è chiuso in una trincea. Dietro il rumore dei fronti, esiste un’altra Israele, più silenziosa e molto più reale, che lavora alla velocità dell’urgenza. È l’Israele che inventa, ripara, sperimenta, fallisce in fretta e ricomincia. Quella che non finisce nei titoli perché non esplode, ma salva vite.

La si ritrova nelle serre del deserto del Negev, dove sensori intelligenti controllano umidità, parassiti, quantità di luce: agricoltura di precisione che permette raccolti in regioni dove, teoricamente, non dovrebbe crescere nulla. Start-up minuscole — spesso tre ragazzi che lavorano in coworking che sembrano scantinati — stanno testando ibridi di irrigazione e analisi del suolo capaci di dimezzare l’uso d’acqua. Altrove si sperimenta la coltivazione verticale per città affamate di spazio. Non è folklore ma economia di sopravvivenza in un Paese che ha imparato a trasformare la necessità in tecnica.

Sul fronte medico succede qualcosa di ancora più radicale. Ospedali pubblici e privati collaborano da decenni con ricercatori e centri di innovazione, creando una rete che produce un flusso continuo di brevetti. Protesi neurali che traducono gli impulsi elettrici del cervello in movimenti reali, sistemi che anticipano i picchi di crisi epilettica, algoritmi che leggono in anticipo tumori difficili da individuare. In oncologia alcune équipe lavorano su terapie personalizzate che combinano immunoterapia, dati genetici e dosaggi mirati. Non stiamo parlando della medicina del futuro, ma quella che in Israele viene sperimentata oggi sui pazienti reali.

La guerra, paradossalmente, genera accelerazioni. Tecnologie nate per proteggere civili o soldati trovano applicazioni immediate nella vita quotidiana. I software che analizzano immagini in tempo reale diventano strumenti diagnostici; i droni progettati per monitorare zone di confine vengono adattati al controllo agricolo; l’ingegneria dei materiali testata per la difesa finisce nei caschi dei vigili del fuoco o in nuove infrastrutture antisismiche. La linea fra la sicurezza e il benessere civile è molto più sottile di quanto immaginiamo.

Ciò che colpisce, però, non è solo l’innovazione. È la capacità di questo ecosistema di non spegnersi nemmeno quando il Paese sembra implodere. Le università continuano a sfornare ricerca di qualità nonostante le mobilitazioni, le emergenze, il richiamo dei riservisti. I laboratori restano aperti. I progetti vengono rallentati, mai abbandonati. È come se in Israele esistesse una forza contraria al caos che insiste nel costruire mentre tutto intorno minaccia di crollare.

Raccontare questo non significa chiudere gli occhi sulla guerra, ma restituire proporzioni. Chi conosce Israele solo attraverso il sangue non lo conosce davvero. Il Paese vive da decenni dentro un equilibrio disumano e tuttavia produce una quantità di vita nuova — tecniche, cure, strumenti — che toccano anche chi non ne sa nulla. Che mangia frutta irrigata con tecnologie israeliane. Che usa dispositivi medici sviluppati in ospedali israeliani. Che beneficia, senza accorgersene, del Paese che si ostina a inventare mentre i suoi nemici a distruggerlo.

Questa è la parte di Israele che vale la pena osservare: quella che trasforma la vulnerabilità in competenza. La parte che non fa rumore, ma cambia il mondo un algoritmo, un sensore, una terapia alla volta. Qui non ci sono slogan né bandiere quanto piuttosto la volontà ostinata di vivere, che poi è sempre il motore più potente dell’innovazione.


Smontaggi. Israele oltre la guerra
Smontaggi. Israele oltre la guerra