L’ONU viene spesso evocata come se fosse un giudice imparziale che osserva il mondo dall’alto, pesa i fatti, applica il diritto e pronuncia sentenze morali. È una rappresentazione rassicurante, quasi liturgica. Peccato che sia falsa. Non perché l’ONU sia “cattiva”, corrotta o intrinsecamente ostile a qualcuno, ma perché non è ciò che molti fingono – o preferiscono – che sia: un soggetto sovrano, neutrale, razionale.
L’ONU è un meccanismo politico. E come tutti i meccanismi politici risponde a rapporti di forza, blocchi, convenienze, automatismi.
Partiamo da un punto semplice, che viene quasi sempre rimosso: l’ONU non è un’entità unica ma un arcipelago di organi diversi, con funzioni, logiche e pesi completamente differenti. Il Consiglio di Sicurezza, l’Assemblea Generale, le agenzie specializzate, i comitati, i relatori speciali. Mettere tutto sotto l’etichetta “lo dice l’ONU” è già un modo per mischiare le carte e mistificare il ragionamento.
L’Assemblea Generale, che è quella più citata nei dibattiti pubblici, non è un parlamento del mondo né un tribunale. È un’assemblea politica in cui ogni Stato ha un voto, indipendentemente dal suo sistema politico, dal rispetto dei diritti umani, dalla libertà di stampa o dalla sua storia di aggressioni. In quell’aula votano allo stesso modo democrazie liberali, autocrazie, regimi militari, teocrazie e Stati falliti. Le risoluzioni dell’Assemblea non sono vincolanti, ma producono un capitale simbolico enorme, perché vengono presentate come “la volontà della comunità internazionale”.
Ed è qui che entra in gioco il primo meccanismo da smontare: il voto automatico. In ONU non si vota quasi mai “caso per caso”. Si vota per blocchi. Gruppi regionali, coalizioni ideologiche, alleanze tattiche. Il mondo arabo-islamico vota in modo coordinato su alcuni dossier. Il blocco dei Paesi non allineati fa altrettanto. Stati che non hanno nulla in comune, se non l’interesse a colpire un avversario politico o a guadagnare credito presso una maggioranza numerica, si ritrovano a votare insieme. Il risultato non è un giudizio, ma una conta.
Questo spiega perché su alcuni temi – Israele in testa – esista una produzione industriale di risoluzioni. Non perché il conflitto israelo-palestinese sia l’unico o il più sanguinoso al mondo, ma perché è quello che garantisce il massimo consenso automatico al minimo costo politico. Condannare Israele non costa nulla a decine di Stati; anzi, rende. Serve a coprire repressioni interne, a costruire posture morali, a saldare alleanze regionali. È un investimento a rendimento sicuro.
Secondo meccanismo: la frammentazione delle agenzie. Molte agenzie ONU operano con mandati settoriali, spesso autoreferenziali, e sviluppano nel tempo una propria cultura politica. Questo non le rende inutili, ma le rende tutt’altro che neutrali. Un’agenzia che vive da decenni su un conflitto tende a interiorizzarne la cornice dominante, a riprodurla, a difendere il proprio ruolo. L’obiettivo non diventa risolvere il problema, ma amministrarlo. La crisi come ecosistema.
Terzo punto: l’illusione del diritto senza potere. L’ONU produce un’enorme quantità di linguaggio giuridico e para-giuridico, ma non dispone di un potere coercitivo autonomo. Il diritto internazionale, in quel contesto, è spesso un lessico morale usato in modo selettivo. Applicato dove conviene, ignorato dove sarebbe costoso. Non è un caso se le grandi potenze violano risoluzioni ONU senza conseguenze reali, mentre Stati più esposti vengono messi all’indice. Non è ipocrisia individuale: è struttura.
Smontare il mito dell’ONU come arbitro neutrale non significa dire che l’ONU non serva a nulla. Serve eccome: come foro diplomatico, come spazio di coordinamento, come luogo in cui si parla invece di spararsi. Ma sacralizzarla significa smettere di capirla. E quando non si capisce un meccanismo, lo si subisce.
Il punto, allora, non è indignarsi ogni volta che “l’ONU condanna”, né inginocchiarsi ogni volta che “l’ONU riconosce”. Il punto è chiedersi sempre: quale organo? con quali voti? con quali coalizioni? con quali interessi convergenti? Solo così l’ONU torna a essere ciò che è davvero: uno specchio imperfetto del mondo, non la sua coscienza morale. E forse, paradossalmente, è proprio smettendo di sacralizzarla che la si può usare meglio.
Smontaggi. Il mito dell’ONU come arbitro neutrale
Smontaggi. Il mito dell’ONU come arbitro neutrale

