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Smontaggi – Che cos’era davvero il Mandato britannico

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 4 min
Smontaggi - Che cos’era davvero il Mandato britannico

Se ne parla come di un coccio archeologico degno al massimo dell’attenzione di qualche ricercatore maniacale. Il Mandato britannico, piaccia o non piaccia a chi odia la complicata vicenda dell’Occidente, non era un’occupazione travestita né un protettorato paternalista senza scadenza. Approvato dalla Società delle Nazioni nel 1922, era semmai uno strumento di diritto internazionale con un compito netto, che era quello di accompagnare un territorio ex ottomano verso istituzioni stabili, tutelare i diritti civili e religiosi di tutte le comunità e, punto non negoziabile, favorire l’instaurazione in Eretz Israel, ossia la Terra di Israele, della “National Home of the Jewish People”, il focolare nazionale del popolo ebraico.

La formula non parlava di un club culturale o di una vetrina folkloristica ma indicava una casa nazionale radicata in un legame storico e dotata di gambe politiche. L’obbligo era tutt’altro che poetico tanto che si parlava di facilitare l’immigrazione ebraica “in misura sostenibile dalle risorse del paese”, promuovere l’insediamento “su terre statali e incolte”, sostenere l’ebraico come lingua ufficiale al pari di arabo e inglese, e vigilare affinché nessuna discriminazione impedisse lo sviluppo di un’istituzione rappresentativa. Accanto a questo, una clausola cruciale: nessun pregiudizio ai diritti civili e religiosi delle popolazioni non ebree. Non “diritti politici collettivi” già costituiti in Stato, che non c’era, ma garanzie individuali e comunitarie. La bilancia era chiara: promuovere la casa nazionale ebraica, proteggere le libertà di tutti, costruire capacità di autogoverno.

La leggenda sucessiva ha capovolto l’ordine degli impegni, come se Londra avesse ricevuto un mandato di neutralità perfetta tra aspirazioni inconciliabili. Non è così. Il testo assegnava al Regno Unito una responsabilità attiva verso il progetto sionista, responsabilità che richiedeva coerenza, forza e continuità. La realtà politica britannica fu, però, a dir poco oscillante. Prima arrivò il Libro Bianco del 1922 a restringere, interpretando; poi quello del 1930 a raffreddare; quindi, nel 1939, un colpo di mano con il blocco quasi totale all’immigrazione ebraica proprio nel decennio in cui gli ebrei europei cercavano una via di fuga dal disastro imminente.

L’argomento della “capacità assorbente” economica fu trasformato in tappo ideologico; la sicurezza pubblica, piegata a veto di piazza; l’articolo che incoraggiava l’insediamento ebraico su terre statali, congelato. In breve, l’obbligo di facilitare divenne la pratica di impedire, e la missione di accompagnamento degenerò in amministrazione dell’attesa e della frustrazione.

C’è un secondo equivoco da correggere: l’idea che la clausola di tutela delle popolazioni arabe imponesse di bloccare la crescita della casa nazionale ebraica. Al contrario, il Mandato esigeva di tenere insieme sviluppo ebraico e diritti civili di tutti, non di opporre l’uno agli altri. Quando la violenza politica prese la scena, il potere mandatario scelse troppo spesso la quiete apparente, cioè punire chi costruiva insediamenti legali e chiudeva i porti ai profughi, invece di isolare i professionisti del terrore. In quella torsione, la funzione educativa del Mandato – e cioè, creare istituzioni imparziali, regole eguali, una polizia che protegga chi rispetta la legge – cedette il passo alla gestione emergenziale e, alla fine, all’uscita di scena. Non una neutralità virtuosa, ma un progressivo abbandono del testo che Londra si era impegnata a onorare.

Anche qui conviene sgombrare il campo dalle semplificazioni. Il Mandato non prometteva automaticamente uno Stato ebraico né negava ogni possibile forma di rappresentanza araba; metteva però nero su bianco una direzione politica: riconoscere che il popolo ebraico ha un titolo storico e giuridico a ricostruire la propria casa nazionale in quel territorio, e che l’autorità mandataria deve facilitarne i passi concreti – immigrazione ordinata, sviluppo economico, istituzioni comuni – senza ledere i diritti individuali degli altri abitanti. C’è oggi chi parla del Mandato come di una parentesi coloniale ma la verità è meno fotogenica e più testarda: il Mandato nacque per far avanzare un progetto legittimo e compatibile con libertà eguali e finì, per scelta politica britannica, per rallentarlo e deviarlo.

Quel rallentamento, pagato in vite durante gli anni bui, non cancella però l’architettura originaria. E per smontare davvero i miti utili ma falsi, basta rimettere il testo al centro: obblighi chiari, responsabilità mancate, conseguenze reali. Tutto il resto è chiacchera o, peggio, mistificazione.


Smontaggi – Che cos’era davvero il Mandato britannico
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