È una scena che fino a pochi anni fa sarebbe sembrata inverosimile: due rabbini israeliani che camminano tra le vie di Aleppo, scortati da forze di sicurezza locali, per entrare in sinagoghe chiuse da decenni. Eppure è successo. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), una delegazione ebraica ha visitato due templi storici della città — nel quartiere di Al-Jemayliyah e nell’area di Bab al-Nasr — durante un evento religioso-culturale organizzato da un’associazione attiva nel nord della Siria. Una visita breve, discreta, ma sufficiente a far riaffiorare una storia rimossa e a sollevare nuove domande.
È la prima volta da molti anni che figure religiose provenienti da Israele mettono piede ad Aleppo. Il SOHR ha diffuso un video dell’incontro, parlando di attività israeliane “insolite” sul territorio siriano e di una presenza più frequente, seppur lontana dai riflettori. Negli ultimi mesi, secondo fonti siriane e libanesi, si sarebbero già verificati contatti riservati a Damasco, incontri di basso profilo con figure locali e sopralluoghi in siti legati all’antico e variegato ebraismo siriano, una comunità un tempo fiorente e oggi quasi scomparsa.
La delegazione ha esaminato due complessi storici che un tempo ospitavano scuole e sinagoghe. Aleppo era uno dei centri dell’ebraismo mediorientale, culla della celebre Bibbia di Aleppo e dimora di mercanti, famiglie notabili e studiosi. Le sinagoghe, abbandonate e in parte danneggiate durante la guerra civile, sono rimaste per anni sigillate, alcune depredate da reti criminali che ne hanno sottratto arredi e manoscritti. Per questo la visita ha assunto un significato preciso: ricognizione del patrimonio, verifica dello stato delle proprietà e, soprattutto, richiesta di tutela. Fonti locali riferiscono che il governatore di Aleppo avrebbe promesso di affrontare il nodo degli immobili appartenuti a famiglie ebraiche, molti dei quali — secondo denunce ricorrenti — sarebbero stati sequestrati o occupati da gruppi vicini al regime o da intermediari corrotti.
L’episodio arriva in un momento particolare per la Siria, stretta tra la lenta ricostruzione post-bellica, le tensioni regionali e la crescente influenza iraniana. In questo mosaico fragile, qualsiasi iniziativa legata a Israele — anche solo culturale — genera sospetti. Il SOHR segnala che la visita ha alimentato timori nelle zone controllate dalle autorità transitorie, dove l’ipotesi di un ritorno israeliano, persino simbolico, viene interpretata come un tentativo di espandere l’influenza in un territorio ancora instabile.
Per gli israeliani e per gli ebrei della diaspora la posta in gioco è diversa: mappare ciò che resta della loro storia in Siria e, in parte, recuperare beni confiscati. Negli ultimi anni, associazioni della diaspora siriano-ebraica — soprattutto negli Stati Uniti e in Israele — hanno chiesto più volte accesso a documenti, archivi e proprietà, spesso senza ottenere risposte. La riapertura di alcuni dossier e la disponibilità delle autorità locali ad accompagnare delegazioni suggeriscono che qualcosa si stia muovendo: forse per ragioni politiche, forse per convenienza economica.
Aleppo, ferita da anni di assedio e bombardamenti, non ritroverà presto la sua antica pluralità. Ma il fatto che due rabbini israeliani possano tornare in quelle strade, anche solo per qualche ora, dice qualcosa del nuovo equilibrio mediorientale: frammentato, tattico, diffidente, ma attraversato da aperture minuscole e reali. Il passato riaffiora sempre, soprattutto quando decide di bussare alla porta della storia.
Siria. Rabbini ad Aleppo: il passato che ritorna
Siria. Rabbini ad Aleppo: il passato che ritorna

