Home > Dal fiume al mare > Siria, l’inviato Onu Pedersen lascia l’incarico dopo sette anni: «Ora intravedo speranza»

Siria, l’inviato Onu Pedersen lascia l’incarico dopo sette anni: «Ora intravedo speranza»

Potrebbe essere lui a prendere il posto di Francesca Albanese?

Nicoletta Ferragni

Tempo di Lettura: 3 min
Siria, l’inviato Onu Pedersen lascia l’incarico dopo sette anni: «Ora intravedo speranza»

Dopo quasi sette anni alla guida della diplomazia delle Nazioni Unite in Siria, Geir Pedersen lascia l’incarico. Il diplomatico norvegese, 69 anni, ha annunciato al Consiglio di Sicurezza che si dimetterà «nel prossimo futuro», senza precisare una data.

Pedersen ha spiegato in un’intervista all’Associated Press di aver pensato da tempo a questo passo, ma di aver rimandato la decisione dopo la caduta a sorpresa del presidente Bashar al-Assad, avvenuta lo scorso dicembre. La fine del regime, che aveva dominato il Paese con pugno di ferro per decenni, ha aperto una fase di transizione complessa ma anche carica di aspettative. «Si percepisce la speranza di un cambiamento», ha dichiarato, pur riconoscendo che «ci sono stati progressi ma anche errori molto gravi, in particolare sul piano della violenza settaria».

Nominato inviato speciale per la Siria nel 2018, Pedersen ha ereditato un conflitto civile già sanguinoso e in fase di stallo. Dal 2011, la guerra ha provocato quasi mezzo milione di morti e lo sfollamento di oltre metà della popolazione prebellica, 23 milioni di persone. Negli anni più duri, l’ISIS era riuscito a conquistare ampie porzioni del territorio, poi riconquistate nel 2019, sebbene cellule dormienti restino attive.

Il suo mandato si è basato sulla Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza, che chiedeva un processo politico condiviso tra il governo di Assad e l’opposizione. Un obiettivo rimasto a lungo lontano. Ma con l’uscita di scena dell’ex presidente e la nomina di Ahmad al-Sharaa a capo del governo ad interim, la Siria sta avviando una transizione quinquennale: elezioni parlamentari, una nuova Costituzione e, infine, elezioni generali.

La sfida resta enorme. Nelle ultime settimane, violenti scontri tra tribù beduine e comunità drusa hanno insanguinato la provincia meridionale di Sweida, mentre centinaia di civili – soprattutto appartenenti alla minoranza alawita, vicina ad Assad – sono stati uccisi in vendette e rappresaglie. Il nuovo governo ha avviato inchieste e, con il sostegno di Stati Uniti e Giordania, ha messo a punto un piano per garantire la sicurezza della regione.

Al Consiglio di Sicurezza, l’ambasciatore siriano Ibrahim Olabi ha assicurato che Damasco sta facendo «ogni possibile sforzo» per affrontare la crisi, ribadendo che la Siria «si muove verso la ricostruzione» e vuole essere «una nazione per tutti i suoi cittadini, senza eccezioni».

Per Pedersen, è già un segnale positivo che il nuovo esecutivo affronti apertamente il tema della convivenza etnica e religiosa: «Ho detto chiaramente che la cattiva gestione di questa violenza può minare la fiducia nel piano di transizione. Ma è responsabilità delle nuove autorità mantenere le promesse e correggere gli errori del passato».

Il diplomatico norvegese ha alle spalle una lunga carriera: è stato coordinatore Onu per il Libano, membro del team di Oslo che nel 1993 siglò gli accordi tra Israele e OLP, e rappresentante della Norvegia presso l’Autorità palestinese. Non ha ancora reso noto quale sarà il suo futuro, limitandosi a dire: «Lo dirò più avanti».

La sua disponibilità a rimanere a lavorare nell’area del Medio Oriente per le Nazioni Unite, la stima che ha saputo conquistare trasversalmente e l’esperienza nel processo di pace israelo-palestinese ne fanno un potenziale candidato a succedere a Francesca Albanese nel ruolo di Special Rapporteur Onu per Gaza e Cisgiordania, qualora Albanese, anche a seguito delle istanze presentate da più nazioni – prima tra tutte gli Stati Uniti – dovesse decadere dal suo incarico.


La rete oscura dietro la Flotilla: attivisti, fondi e contatti diretti con Hamas La rete oscura dietro la Flotilla: attivisti, fondi e contatti diretti con Hamas La rete oscura dietro la Flotilla: attivisti, fondi e contatti diretti con Hamas