In Siria il passato non muore: scava cunicoli, compra fedeltà, telefona ossessivamente ai reduci. È l’immagine che emerge dall’inchiesta Reuters sui due uomini che stanno tentando di rianimare l’ombra di Bashar al-Assad e riportarla al potere. Mentre l’ex presidente vive il suo esilio dorato a Mosca, Kamal Hassan, ex capo dell’intelligence militare, e il miliardario Rami Makhlouf, cugino del dittatore, si preparano alla loro versione della “battaglia finale”: una riconquista dall’esterno, attraverso milizie, denaro e un apparato sotterraneo rimasto intatto.
Hassan e Makhlouf non hanno mai davvero accettato la caduta del vecchio regime. Secondo Reuters stanno riversando milioni di dollari in Siria e in Libano, puntando soprattutto sulla minoranza alawita, la stessa che per decenni ha costituito la spina dorsale del potere di Assad. In palio non c’è soltanto la nostalgia per la dittatura perduta, ma il controllo di una rete di quattordici centri di comando sotterranei, costruiti negli ultimi anni del regime lungo la costa. Una ragnatela di tunnel, depositi e sale operative che potrebbe garantire un vantaggio militare immediato a chi riuscirà a impadronirsene.
Hassan telefona, manda messaggi vocali, promette protezione e rivincite. Nei suoi sfoghi c’è la furia del generale deposto e l’illusione di poter ricostruire – pezzo per pezzo – il potere perduto. Makhlouf, invece, veste i panni del profeta: l’uomo d’affari che finanziò Assad durante la guerra civile ora parla di un ritorno messianico e di un’“apocalisse finale” che gli restituirà il trono. È la fantasia di un oligarca caduto in disgrazia e rimasto agli arresti per anni, ma che conserva un’arma potentissima: denaro, molto denaro, sufficiente a comprare la fedeltà di migliaia di combattenti.
A Mosca, intanto, si muove anche Maher al-Assad, fratello dell’ex presidente, che controlla ancora gruppi armati ma non ha preso una posizione netta. Un silenzio che vale come una minaccia: se scenderà in campo, la guerra intestina tra gli ex uomini del regime potrebbe esplodere del tutto.
Il nuovo presidente siriano, Ahmed al-Sharaa, non sta a guardare. Per bloccare il ritorno degli “assadiani”, ha rimesso in gioco Khaled al-Ahmad, un tempo fedele al vecchio dittatore. È lui che va villaggio per villaggio a convincere la comunità alawita che la sopravvivenza non sta in un passato sepolto, ma nella fragile nuova Siria che sta cercando di nascere.
Il risultato è una competizione feroce: non più per compiacere Assad, ma per succedergli; non più per ricostruire il regime, ma per spartirsi ciò che ne resta. Come ha sintetizzato il ricercatore Ansar Shahud, la battaglia si è spostata dal palazzo presidenziale al cuore della comunità alawita, oggi terreno di caccia di ogni aspirante restauratore.
Secondo Reuters, tutto questo emerge da quarantotto testimonianze dirette. Hassan e Makhlouf hanno rifiutato di commentare. Ma non serve la loro versione per capire il punto: Assad è caduto, il suo Stato no. I suoi uomini, il suo apparato e i suoi fantasmi sono ancora lì, pronti a scendere nelle viscere della Siria per tentare di risalire in superficie.
Siria. La guerra dei fantasmi
Siria. La guerra dei fantasmi

