In Iran hanno organizzato una grande esposizione tecnologica. Una vetrina del futuro, dicono. Poi il futuro si avvicina, si muove in modo un po’ goffo, respira, sbuffa… e i visitatori si accorgono che quei magnifici robot non sono robot. Sono esseri umani infilati dentro un esoscheletro di plastica, travestiti come in un carnevale da discount, e incaricati di fingersi macchine all’avanguardia. L’Iran voleva impressionare il mondo. C’è riuscito, ma non nel senso sperato.
La scena è perfetta: la Repubblica Islamica che vuole apparire una potenza tecnologica e finisce per mettere in scena un teatro dell’assurdo, a metà tra la recita scolastica e la truffa da fiera provinciale. È la stessa combinazione esplosiva di spregiudicatezza e ingenuità che li porta a finanziare milizie in mezzo Medio Oriente convinti di manovrare tutto, salvo essere colti ogni volta con le mani nella marmellata. Come se il mondo non sapesse guardare, verificare e scoprire quella che a Roma si chiama ‘sòla’, ovverossia la fregatura.
La domanda vera è: pensavano davvero che nessuno l’avrebbe notato? Che un robot col fiatone potesse passare inosservato? Che un “androide” che aggiusta il costume mentre crede di non essere visto potesse essere scambiato per progresso?
Il regime iraniano vive così: proclama rivoluzioni scientifiche e poi inciampa nel filo della propria propaganda. E intanto pretende di guidare il destino della regione, di dettare la linea all’Occidente, di minacciare Israele con “armi avanzate”. Intanto, però, la loro idea di robotica è un signore sudato sotto un casco di plastica.
Silicon Mullahs
Silicon Mullahs
/span>

