Il 14 giugno, Sondrio non è stata la tranquilla cittadina di provincia che tutti conosciamo. Non è stata la città pacata, silenziosa, solidale, sempre lontana da ogni estremismo.
Sondrio è da sempre una terra operosa e sobria, dove il senso civico ha prevalso su ogni tentazione ideologica.
Eppure, proprio qui, si è consumato qualcosa di gravissimo. Per alcune ore, Sondrio è diventata il palcoscenico di una manifestazione che ha mostrato il volto più brutale dell’odio travestito da attivismo. È diventata teatro dello sdoganamento pubblico dell’antisemitismo, un veleno che pensavamo relegato ai margini e che invece ha sfilato in piazza con arroganza e senza vergogna.
Se certe parole e slogan sono risuonati nelle vie tranquille di Sondrio, vuol dire che quel veleno è entrato in circolo. E ciò che prima sembrava impossibile, oggi è realtà.
Quella che doveva essere una manifestazione pro Palestina si è rivelata per quello che era: una marcia contro Israele, contro il popolo ebraico, contro la verità storica e morale, contro i valori della nostra civiltà democratica. In piazza, messaggi violenti, cori estremisti, cartelli senza ambiguità.
“Dal fiume al mare” non è una poesia. È uno slogan jihadista che invoca la distruzione dello Stato di Israele. Si è inneggiato all’intifada, che non è solo una “sollevazione”, ma una parola che, nella storia, ha significato sangue, attentati, vittime civili.
E si è arrivati perfino a glorificare Hamas, definendola “resistenza”. Come se un’organizzazione riconosciuta come terroristica da UE e USA potesse essere legittimata. Come se fosse normale, nel cuore della Valtellina, celebrare chi ha massacrato famiglie nei kibbutz e giovani inermi a un festival.
Ma oltre ai contenuti, ciò che più ha colpito è stato il silenzio. Nessuna condanna dagli organizzatori. Nessuna presa di distanza. Nemmeno un tentativo di dissociarsi dagli slogan più gravi.
E questo silenzio è la parte più inquietante. È un silenzio che legittima, che normalizza, che diventa complicità.
Quando ho denunciato pubblicamente quanto accaduto, ho ricevuto una valanga di insulti e minacce: “Gli ebrei devono andare al creatore”, “Ci ricorderemo dei porci sionisti”.
Non è più solo un clima politicizzato. È un ambiente avvelenato, che ha fatto proprie le logiche del nemico assoluto. Non si tratta più di slogan. Si tratta di caccia all’uomo.
Una delle bugie più pericolose è sovrapporre Hamas alla causa palestinese. Ma Hamas non rappresenta la Palestina: ne è la rovina. È il suo carnefice. Usa il popolo palestinese come strumento e scudo. Chi difende Hamas non è un pacifista. È un alleato del terrore.
Israele è uno Stato democratico che combatte per la propria esistenza, per la libertà, la legalità, la vita. Lo fa anche per difendere i valori che condividiamo: la sicurezza, il diritto di vivere senza paura, il rifiuto del terrorismo.
Ciò che è accaduto a Sondrio non è un episodio da archiviare. È stato uno spartiacque morale. È il momento in cui l’antisemitismo è stato normalizzato in pubblico, in una piccola e tranquilla città alpina, senza che nessuno si indignasse. Non è accettabile per la storia di Sondrio, per la sua comunità, per i suoi cittadini, per le sue istituzioni.
Sondrio è una città di persone perbene, che credono nella tolleranza e nella verità. Non può accettare che si inneggi al terrorismo, che si invochi la distruzione di uno Stato.
Siamo a un bivio. Non è più tempo di ambiguità. Non è più tempo di chiacchiere, di mediazioni, di relativismi. Chi ha sfilato con chi inneggiava a Hamas ha scelto da che parte stare. Chi ha taciuto di fronte a questi slogan ha fatto una scelta. Chi oggi minimizza, chi difende quella piazza a priori, chi rifiuta di condannare, ha preso posizione. E quella posizione è fuori dalla civiltà.
Non possiamo far finta di niente. Non è stato un eccesso isolato. È stato un campanello d’allarme, un segnale forte di qualcosa che si muove sotto traccia, che serpeggia, che avvelena. E chi ha coscienza, non può voltarsi dall’altra parte. Abbiamo il dovere morale di ricordare, denunciare, resistere.
Perché la storia non si ripete mai allo stesso modo. Ma inizia sempre allo stesso modo: con l’odio, con il silenzio.
E noi non resteremo in silenzio.
Se perfino Sondrio cede all’odio, vuol dire che il veleno è in circolo Se perfino Sondrio cede all’odio, vuol dire che il veleno è in circolo Se perfino Sondrio cede all’odio, vuol dire che il veleno è in circolo