In un Paese che per anni ha coccolato i professionisti dell’ambiguità, fa quasi impressione vedere due lampi consecutivi di lucidità. A Torino l’imam Mohamed Shahin finisce in un Cpr dopo aver pronunciato la perla secondo cui “quello che è successo il 7 ottobre non è una violenza”. Neanche una violenza. Per lui i massacri, gli stupri, le famiglie bruciate vive sono un dettaglio, roba da correggere con il bianchetto ideologico. Se non altro adesso avrà tempo per ripassare il significato delle parole.
Il giorno prima, a Bologna, il ministro Piantedosi aveva replicato all’eroico Lepore – quello che cancella le partite con il Maccabi per non turbare gli spiriti puri – ricordandogli che i danni provocati dai propal li pagano i propal, non lo Stato, né tantomeno le vittime del loro furore. Semplice, lineare, finalmente un principio di responsabilità. Una rarità dalle nostre parti, dove la riflessologia condizionata produce solo alibi per i “ragazzi che esagerano”.
Forse è solo un refolo. Forse domani tutto tornerà nel sonno ipnotico dell’Italia che confonde la resa morale con la bontà. Ma per un attimo, in questo Paese che ha sfornato menti limpide come l’Albanese, sembra affiorare un barlume di memoria: la violenza ha dei responsabili, l’antisemitismo ha dei colpevoli, e chi li giustifica non merita il tappeto rosso.
Non è la rivoluzione. È un risveglio tardivo. Ma pur sempre risveglio è.
Risvegli
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