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Ricordiamo i morti della Shoah, sì. E dimentichiamoci gli ebrei vivi

Aldo Torchiaro

Tempo di Lettura: 4 min
Ricordiamo i morti della Shoah, sì. E dimentichiamoci gli ebrei vivi

La sconfessione pubblica del ddl Delrio da parte del Partito democratico non è un incidente parlamentare. È uno squarcio. Un autoritratto involontario della sinistra italiana, sempre più incapace di distinguere tra critica politica e rimozione morale, tra dissenso legittimo e cecità selettiva verso l’antisemitismo contemporaneo. È come se un’intera tradizione politica avesse smarrito la bussola, scegliendo la via più comoda: commemorare gli ebrei morti, ignorare gli ebrei vivi.

Il paradosso è sotto gli occhi di tutti. Da una parte, cerimonie impeccabili, retoriche scolpite, fiumi di parole sulla memoria; dall’altra, l’incapacità di riconoscere che l’antisemitismo non è un fenomeno d’archivio. È una minaccia in atto, concreta, misurabile: +400% di episodi in un anno. Eppure proprio ora, nell’ora più buia, la sinistra decide di impugnare la definizione internazionale IHRA sull’antisemitismo che essa stessa approvò nel 2020. Una giravolta che ha dell’inspiegabile.

Graziano Delrio lo ha ricordato con puntualità: «Non c’è nessun pericolo di reprimere critiche verso Israele; questa definizione è già in vigore dal governo Conte II». Semplice, lineare. Ma non sufficiente a stanare l’imbarazzo di un partito che si scopre prigioniero delle sue correnti e dei suoi tabù. A sostegno di Delrio, Emanuele Fiano ha parlato con l’autorevolezza di chi conosce sulla pelle la storia e i suoi fantasmi: è «inaccettabile» che la sinistra si divida proprio sulla lotta all’antisemitismo, proprio adesso, mentre monta un’ondata d’odio senza precedenti negli ultimi decenni. Le sue parole cadono però in un silenzio che pesa più di molte contestazioni.

Ciò che emerge, in controluce, è il crollo di un argine morale. Per anni la sinistra ha considerato l’antisemitismo un tema non negoziabile, un recinto invalicabile. Oggi quel recinto è stato abbattuto. L’antisemitismo diventa un sottoprodotto fastidioso, un rumore di fondo, qualcosa che si può relativizzare, subordinare alla dialettica interna sul Medio Oriente. Così il Pd, nato per essere il partito della responsabilità istituzionale, inciampa sulla definizione più elementare dell’odio antiebraico.

Il veleno del «voi ebrei», che credevamo consegnato alla notte europea del Novecento, riaffiora. Non nei documenti ufficiali, ma nei riflessi condizionati: il sospetto, lo sguardo di traverso, la tentazione di leggere ogni presa di posizione come un’adesione acritica al governo di turno in Israele. Una distorsione che Sinistra per Israele ha ben riassunto nella sua nota: confondere la critica al Governo Netanyahu con la delegittimazione dello Stato ebraico e della sua natura democratica è un errore concettuale prima ancora che politico.

Per gli ebrei italiani, tutto ciò non è più sostenibile. Si può discutere su Gaza, su Netanyahu, sulla politica israeliana — e lo si deve fare. Ma non si può chiedere a una comunità ferita di giustificare ogni giorno la propria esistenza politica, culturale, identitaria. La sinistra che posa corone il 27 gennaio e scrolla le spalle il 7 ottobre ha perso credibilità. Non perché critica Israele: perché non sa più riconoscere l’antisemitismo quando gli cammina accanto.

Nelle ultime settimane, mentre in Europa la CEI lanciava l’allarme e i governi di mezzo continente rafforzavano gli strumenti di protezione delle comunità ebraiche, il Pd si avvitava in una disputa interna su una definizione che aveva già votato anni fa. Una disputa che ha assunto i contorni del regolamento di conti, del riflesso politico invece che morale. Così, anziché difendere chi oggi è più esposto, si sceglie la strada più pavida: quella del sospetto verso chi denuncia l’antisemitismo.

Che la sinistra italiana soffra da tempo di una subalternità culturale a una certa lettura terzomondista del mondo è noto. Ma ciò che oggi appare evidente è il passaggio successivo: la riduzione degli ebrei a variabile scomoda, corpo estraneo, eccezione ingombrante nel grande racconto delle vittime che la sinistra ama riconoscere. Un meccanismo che produce un risultato inquietante: proteggere gli ebrei è diventato politicamente sconveniente.

Eppure la politica dovrebbe partire da una verità elementare: non si difende la memoria se non si difendono le persone. Non ha senso onorare gli ebrei assassinati nei campi se non si ha il coraggio di difendere gli ebrei minacciati nelle strade, nelle scuole, nelle università, nelle piazze.

Il Giorno della Memoria è dietro l’angolo. Arrivarci divisi sulla definizione stessa di antisemitismo è un segno di smarrimento profondo. E indica un’urgenza: ricostruire l’argine morale che una parte della sinistra ha lasciato crollare. Prima che sia troppo tardi.


Ricordiamo i morti della Shoah, sì. E dimentichiamoci gli ebrei vivi
Ricordiamo i morti della Shoah, sì. E dimentichiamoci gli ebrei vivi