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Reebok, quattro centimetri di paura

Paolo Montesi

Tempo di Lettura: 4 min
Reebok, quattro centimetri di paura

Arresa al boicottaggio, pur con una postilla. Il 30 settembre 2025 la Federcalcio israeliana ha confermato che, dopo settimane di pressioni e minacce di boicottaggio targate BDS, Reebok ha chiesto al proprio rappresentante locale di rimuovere il logo dalle divise della nazionale. La particolarità? L’associazione ha precisato di non avere mai firmato un accordo diretto con “Reebok Global”: il rapporto era con un fornitore israeliano (MGS), e dunque la rinuncia del marchio internazionale sarebbe più un gesto simbolico che la rescissione di un contratto centrale. Resta la sostanza, non proprio nobile: il marchio sparisce dalla maglia, segnale chiaro dell’efficacia della campagna di pressione.

Il contesto è noto. Dopo l’addio di Puma e il contratto lampo di Erreà, mai davvero decollato e travolto da contestazioni, la scelta Reebok aveva riportato un grande brand sulla maglia azzurra d’Israele. L’estate scorsa era partita persino una campagna con le nuove divise disegnate dall’ex nazionale Tal Shetach. Oggi, a fronte di minacce di boicottaggio globale e di proteste in negozi europei, “Global” ha chiesto di togliere il proprio stemma. La federazione ha risposto con tono torvo: rinuncia “imbarazzante” a minacce “irrilevanti”, ricordando che lo stemma dell’IFA e la bandiera resteranno. Nel frattempo, lo staff tecnico stamattina è comunque apparso con una maglia del brand, a sottolineare la confusione del momento.

Qui sta il punto che riguarda tutti. Le aziende non sono tribunali; sono barometri del rischio. Valutano mercati, vendite, reputazione, rifornimenti, umori dei clienti. Quando il costo reputazionale si gonfia, anche un logo da quattro centimetri diventa un macigno. Il boicottaggio gioca su questo: rendere proibitivo, o almeno molto scomodo, ogni gesto di normalizzazione dei rapporti con Israele, a prescindere dai contenuti reali di un accordo. Reebok non sembra aver stracciato un contratto “globale” con l’IFA, perché quel contratto non c’era; ha però deciso di sfilarsi dal simbolo più visibile, quello che viene testimoniato da tutte le riprese televisive. È la logica del danno reputazionale: colpire ciò che si vede.

C’è poi un equivoco utile alla propaganda: raccontare ogni passaggio come “ritirata storica”. In realtà il settore ha vissuto un rimpallo continuo visto che Adidas si era sfilata anni fa, Puma non ha rinnovato, l’Erreà italiana ha fatto un passo indietro in piena bufera, Reebok è entrata e ora riduce l’esposizione. Non un fronte unico, ma un’oscillazione opportunistica in base alla temperatura dei mercati. Eppure l’effetto cumulativo è reale: il messaggio al mondo corporate è che lavorare con Israele comporta un premio al rischio, anche solo sull’immagine.

E il coraggio? La parola non è romantica e nel business significa assumersi costi prevedibili per mantenere un principio, una partnership, un mercato. Esistono casi in cui marchi hanno retto all’onda lunga delle campagne coordinate, difendendo la libertà di impresa, la neutralità dello sport, o semplicemente gli impegni presi. Qui, invece, ha prevalso la logica del “minimizzare l’impatto”, e cioè, togliere il logo per togliersi dai guai, scaricando sul distributore locale l’onere di fornire materiale tecnico, e lasciando alla federazione il compito di gestire le ricadute. Non è un crimine, è una scelta che però segnala un ecosistema in cui la politica delle piazze detta l’agenda ai reparti marketing.

Per Israele il danno non è tanto economico quanto simbolico. La maglia di una nazionale è una vetrina globale e ogni rinuncia di un brand internazionale ingrandisce il quadro dell’isolamento. È vero che la federazione non è rimasta nuda, e che tra sponsor locali e partner più piccoli le soluzioni si trovano; è vero anche che il tecnico, lo stesso giorno dell’annuncio della ritirata di Reebok, ha indossato la t-shirt incriminata come a dire “andiamo avanti”. Però il frame mediatico è già fissato: “cedimento al boicottaggio”. E quando il titolo è quello, il resto si legge poco perché scritto a caratteri minuscoli.


Reebok, quattro centimetri di paura
Reebok, quattro centimetri di paura