La Rai si è ormai smarcata dal ruolo di servizio pubblico informative per assestarsi saldamente come piattaforma di intrattenimento leggero: l’azienda rimane finanziata dai cittadini ma informa lo stretto necessario, e non di rado in modo discutibile. Su Medio Oriente e Israele, poi, indiscutibilmente negativo. L’informazione si piega, si contorce, si semplifica. Il nemico è Israele, l’eroe è Hamas sotto mentite spoglie, e gli ostaggi — gli ostaggi! — spariti dal racconto come se la loro esistenza fosse un dettaglio fastidioso. Gaza, Gaza, Gaza: il pubblico chiede Gaza, l’intrattenimento televisivo gliela dà. Cinque o sei volte al giorno, con una miscela tossica di misinformation ed errori vistosi, parzialità e fake news.
Questa Rai non mette al riparo nessuno. Neanche il Tg1 di Gian Marco Chiocci si salva. Neanche un direttore autorevole e intelligente, mente libera e certamente non pregiudiziale – come Chiocci – sulle questioni mediorientali, riesce a mettere la sua redazione al sicuro. Perché quella degli Esteri, per non indispettire troppo la Vecchia gestione, sembra continuare ad essere terra di tutti. E dunque di nessuno. Ed è inaccettabile. È come se non soltanto le direzioni siano state lottizzate, com’è notorio, ma ormai lo siano anche i desk, la redazione Esteri su tutti. Il Tg1, fiore all’occhiello del servizio pubblico, ne è l’esempio perfetto: servizi quotidiani da Gaza in cui Israele appare come unico responsabile, la parola “terrorismo” scompare, e i crimini di Hamas evaporano come vapore d’estate
Una eccezione c’è. Ci sarebbe. Ma quando Giovan Battista Brunori, un collega che in Rai tutti stimano e che dal 2023 a oggi deve aver confezionato qualcosa come duemila servizi, racconta la distribuzione degli aiuti a Gaza attraverso una delle fonti meglio informate – sia essa la Gaza Humanitarian Foundation o un presidio militare israeliano sul posto – salta su una “mina”. Non deve far parlare Israele, sembra di capire da una regola non scritta ma incisa sui cuori militanti di chi vigila sulle postazioni di montaggio Rai. Se un suo servizio coraggioso e imparziale, con più fonti incluse quelle israeliane, va in onda, scoppia uno scandalo. Il M5S non può sopportare che ci siano giornalisti che stanno sul campo, filmano, registrano, documentano la realtà senza piegare la testa. Montano la polemica. E uno dei più bravi inviati Rai rischia di saltare, speriamo solo metaforicamente. Con qualche membro del Cda Rai – quelli di opposizione, segnatamente – che gli danno la caccia, come fosse un israeliano in pieno 7 ottobre.
Naturalmente, c’è chi lo difende. Fratelli d’Italia ha bollato come «surreali» le accuse del M5S contro il Tg1, parlando di «palese tentativo di mistificazione» da parte soprattutto dei grillini. E ancora: «Il racconto del Tg1 è documentato, serio, rispettoso della verità». Più netto ancora Maurizio Gasparri, presidente dei senatori di Forza Italia e membro della Commissione di Vigilanza Rai: «Le polemiche sono pretestuose e infondate. Il corrispondente Rai fa il suo lavoro con oggettività, rischiando la vita per raccontare i fatti. Meriterebbe più rispetto».
Resta però un sospetto più che fondato: la Rai, in questa fase, non informa. Milita. E la militanza è tutta da una parte. I massacri del 7 ottobre sono diventati una nota a piè di pagina, gli ostaggi un fastidio narrativo, le ragioni di Israele ridotte a “propaganda”. Il pluralismo, quello autentico, è sparito. E chi prova a ricordare che il terrorismo non è folklore e che Hamas non è un movimento di liberazione viene subito etichettato come nemico della pace.
In tutto questo, la figura di Brunori emerge per contrasto. Non grida, non insulta, non semplifica. Fa il suo mestiere. Ma è giusto che la Rai, con le sue evidenti scelte di campo, lo utilizzi al minimo sindacale? Ed è giusto che la sua testata lo lasci esporre al vento forte dei grillini nel Cda di viale Mazzini?
Non stupisce che, secondo rumors interni all’azienda, si stia già pensando di ridurre della metà il suo spazio nei TG, alternando i suoi servizi con quelli di un collega. Il segnale è chiaro: anche la misura, anche la discrezione, anche la professionalità vanno silenziate, se non si piegano alla linea dominante. Chi oggi difende la linea editoriale Rai deve sapere che la credibilità del servizio pubblico è ai minimi storici. Non per colpa dei giornalisti sul campo, ma per chi decide a monte che cosa mostrare e che cosa tacere.
E se Brunori — che ha anche il merito dell’eleganza, perché su questa situazione non vuole esprimersi — è diventato agli occhi degli addetti ai lavori, della platea più critica e meglio informata l’icona “accettabile” di questa Rai, il problema non è lui. Il problema è chi, mentre tanti ostaggi israeliani restano ancora prigionieri a Gaza, continua a raccontarci solo metà della verità.
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