È risorto il “sole” dal Medio Oriente. Tornano a casa gli ostaggi, tacciono le armi. Il futuro è tutto da costruire, ma una speranza si è accesa.
Ora tocca all’Europa — e più in generale all’Occidente — fermare l’infezione che rischia di danneggiare il tessuto sociale, richiudere la faglia da cui è riemerso l’antisemitismo.
In Italia, alla vigilia della “tregua” a Gaza, le due più alte magistrature, laica e religiosa, si sono già pronunciate.
«I sentimenti per Gaza non diventino antisemitismo», ha ammonito il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Dal Vaticano, il cardinale Prevost ha espresso «preoccupazione per l’insorgenza dell’odio antisemita nel mondo».
Verrebbe da commentare: era ora. Appelli e preoccupazioni, per due anni, non sono stati affatto scontati.
Ma dalle parole l’auspicio è che si passi ai fatti, prima che l’infezione dell’antisemitismo devasti irrimediabilmente il corpo sociale.
Lo Stato italiano deve fare la sua parte per difendere i diritti dei concittadini di religione ebraica. Si cominci dall’istruzione, dal corpo insegnante, dalle scuole di ogni ordine e grado, per trasmettere una storia condivisa e contrastare il negazionismo della Shoah.
Con la giustizia si perseguano i reati da “notte dei cristalli” contro gli ebrei.
La politica non insegua, ma condanni. E metta fuori gioco, dalle piazze e dal dibattito pubblico, i rigurgiti antisionisti che mascherano l’antisemitismo.
E un ruolo non da comprimario sarà quello che la Chiesa cattolica romana dovrà esercitare. Per i cattolici è arrivata l’ora di prendersi la responsabilità verso i propri «fratelli maggiori» — copyright Papa Wojtyla — per difenderli dai superstiziosi pregiudizi della persecuzione religiosa, battistrada dell’antisemitismo.
Tocca alla Chiesa di Roma catechizzare il popolo dei fedeli per diffondere, finalmente, il verbo del Concilio giovanneo che condannò senza appello chi imputa la passione di Cristo a tutti gli ebrei.
A Leone XIV, che sembra muoversi nel solco di Giovanni Paolo II — il Papa che definì l’antisemitismo «peccato contro Dio e contro l’uomo» — si chiede una parola definitiva: la scomunica degli antisemiti che non riconoscono quanto sancito dal Concilio Vaticano II, «il vincolo spirituale tra il popolo del Nuovo Testamento e la stirpe di Abramo».
Coraggio: il Vaticano, nei secoli, non ha certo lesinato scomuniche. Dagli iconoclasti prima del Mille agli scismatici d’Oriente; dagli imperatori Enrico IV e Federico II di Svevia alla regina d’Inghilterra Elisabetta I; dai veneziani in guerra con i ferraresi alle tre scomuniche di Pio IX al Re d’Italia Vittorio Emanuele II.
E ancora: nel 1949 Pio XII scomunicò i comunisti; nel 2014 Papa Francesco scomunicò i mafiosi.
Oggi tocca a Leone XIV: Prevost dribli le divisioni di Curia e colga l’occasione di passare alla storia come il Leone che lo ha preceduto, quel XIII che traghettò la Chiesa cattolica nella modernità.
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