Il vento antisemita uccide. Questa volta in Australia. L’odio razziale ha armato due assassini, padre e figlio, di origine pakistana. Più volte, dalle colonne de Il Riformista, abbiamo denunciato l’espansione dell’antisemitismo nel mondo. Dalla violenza delle parole al sangue il passo è breve.
Dopo l’attentato di Sydney nessuno si sentirà più sicuro. Gli ebrei sono stati presi di mira: sedici morti e quaranta feriti, alcuni gravi, sulla spiaggia di Bondi Beach, mentre festeggiavano Hanukkah, l’antichissima festa delle luci. Si celebra il miracolo dell’olio della Menorah, durato oltre ogni previsione, dopo la riconquista e la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme nel 164 a.C., nelle prime fasi della rivolta maccabea contro l’Impero seleucide. Dopo il pogrom del 7 ottobre, l’attentato di domenica 14 dicembre è la carneficina più numerosa avvenuta fuori da Israele.
Pacifici bagnanti che celebravano una festa ebraica sono stati assaliti da islamisti radicalizzati. Forse cani sciolti: nove minuti di fuoco e di sangue. Le stragi non sorgono mai per caso. L’antisemitismo, nel Nuovissimo Continente come nel Vecchio, viene alimentato e trova sponde non solo in ambienti islamisti, ma anche in settori occidentali che lo legittimano o lo travestono in forme ambigue e discutibili. E talvolta, come a Sydney, sfocia nel sangue.
La tragedia di domenica deve essere un monito anche per quegli italiani che si lasciano trascinare dai maîtres à penser e dalla disinformazione, che distorce la verità, avvelena le coscienze e prepara il terreno alle violenze. La relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, avrebbe «sostenuto che il governo Meloni è composto da fascisti e complici di un genocidio; avrebbe accusato Leonardo di essere un’azienda criminale; avrebbe invitato persino gli studenti a occupare le scuole e, per di più, avrebbe spinto minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale». Se fosse vero, sarebbe fuori di senno.
Anche l’Italia, dunque, si ritrova a fare i conti con l’antisemitismo. Il dibattito sul ddl antisemitismo di Graziano Delrio è stato trattato come un corpo estraneo dentro un soggetto politico che ha la democrazia come asse portante. I vertici del Partito democratico, con Elly Schlein, hanno di fatto esorcizzato il ddl Delrio; eppure il 1° giugno 2017, allora eurodeputata a Strasburgo, Schlein votò a favore quando l’Europarlamento approvò a larga maggioranza la risoluzione sulla lotta contro l’antisemitismo, invitando gli Stati membri ad adottare e applicare la definizione proposta dall’IHRA, l’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto.
Il paradosso è che il ddl Delrio era stato sottoscritto da alcuni parlamentari, ma il capogruppo al Senato, Francesco Boccia, ha avvertito che il testo non è del Pd bensì di Delrio; e alcuni “Don Abbondio” hanno ritirato la firma. A maggior ragione, dopo aver comunicato che ad Andrea Giorgis è stato dato l’incarico di presentare, dopo le festività, un nuovo testo, appare chiaro che la linea politica insegua i pro-Pal e non la comunità ebraica italiana. È così che si crea una dicotomia nel Pd e, in questo scontro, chi paga il conto è proprio la lotta all’antisemitismo.
L’attentato di Sydney sta anche in questa chiave: quando l’antisemitismo diventa un “optional”, prima o poi qualcuno lo trasforma in un’arma. E le luci di Hanukkah, a Bondi Beach, ce lo hanno ricordato nel modo più feroce.
Quando l’antisemitismo diventa un’arma
Quando l’antisemitismo diventa un’arma

