Nasce «MuRo27», Musulmani per Roma 2027. Un gruppo che dichiara apertamente di voler entrare nella politica cittadina portando con sé principi religiosi. Non è un’iniziativa culturale, ma un progetto politico che punta alle amministrative della Capitale.
In democrazia chiunque può presentare una lista: è un diritto. Ma quando la piattaforma si fonda su precetti religiosi, il rischio è che la fede diventi strumento di potere. Non è libertà di culto: è fanatismo travestito da partecipazione.
L’islam, a differenza di altre religioni, non ha ancora firmato l’intesa con lo Stato prevista dall’articolo 8 della Costituzione. Significa che non esiste un quadro ufficiale che regoli i rapporti con le istituzioni. Eppure, c’è chi vuole incidere direttamente sul voto, trasformando la religione in programma politico.
Non è la prima volta: a Monfalcone una lista islamica aveva già fatto discutere. Ma Roma è un’altra partita. Qui non si tratta di rappresentanza, ma di una sfida simbolica: conquistare il cuore della democrazia italiana.
La libertà di culto è sacrosanta. Ma quando diventa imposizione, odio o divisione, smette di essere libertà. Chi porta avanti un progetto politico fondato sulla religione spesso non conosce la cultura democratica fatta di regole condivise e rispetto dell’altro. E allora il rischio è chiaro: covare una serpe in seno.
Roma non può permettersi di trasformare il pluralismo in fanatismo. La città è di tutti, non di chi vuole piegarla a un credo. E qui entra in gioco la laicità delle istituzioni: se passa questa tendenza, domani potremmo ritrovarci con liste cattoliche, musulmane ed ebraiche in competizione elettorale.
Un modello già esiste: si chiama Libano, che è stata a lungo la patria delle guerre civili religiose.
Quando la fede diventa programma politico, la democrazia smette di essere di tutti
Quando la fede diventa programma politico, la democrazia smette di essere di tutti

