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Per un pugno di tessere

Andrea Fiore

Tempo di Lettura: 3 min
Per un pugno di tessere

C’era una volta il sindacato. Un colosso che sapeva far tremare ministri, imprenditori, governi interi. Dopo la guerra fu la cassa di risonanza di un Paese che voleva rinascere, la voce degli operai, la mano che accompagnava la ricostruzione. Dava un senso di appartenenza, non solo un contratto: era comunità, identità, perfino orgoglio.

Arrivarono gli anni Settanta, lo Statuto dei lavoratori, le piazze gremite, l’“autunno caldo” che non era una metafora ma un braciere di diritti conquistati a forza di scioperi veri, massicci, rumorosi. Allora sì che il lavoro aveva un peso politico, e il sindacato non era solo un intermediario, ma un protagonista della storia d’Italia.

Poi, lentamente, la luce si spense. Fabbriche chiuse, lavoro che si frantuma in mille pezzi, contratti a termine, partite IVA travestite da imprenditori, giovani che non sanno nemmeno cosa significhi assemblea. Il sindacato ha provato a rincorrere, ma con il passo lento di chi porta sulle spalle decenni di gloria. Troppo ingessato, troppo diviso in sigle, troppo concentrato a guardarsi allo specchio mentre il mondo del lavoro cambiava pelle sotto i suoi occhi.

E così la rappresentanza si è sfilacciata. Sempre meno iscritti, sempre più pensionati tra i tesserati: pensionati a cui viene estorta una percentuale minima della pensione, un contributo obbligato e quasi automatico, perché chi ha lavorato una vita magari ha un modello 730 da compilare e quindi passa per il CAF del sindacato, rinnova la tessera e si ritrova puntuale anche il giornale nella buca della posta. Una catena forzata che tiene in piedi numeri che altrimenti crollerebbero.
Non è solo colpa dei lavoratori distratti: è che il sindacato, da voce tonante, è diventato brusio di corridoio. Quando riesce ancora a proclamare uno sciopero, sembra più un atto rituale che una sfida. Un tempo fermava la produzione, oggi ferma al massimo qualche treno e qualche autobus, lasciando dietro più lamentele dei passeggeri che coscienza di classe.

Ieri si è scioperato per la Palestina, per la Flottilia, per dire al governo cose che nulla hanno a che fare con i diritti dei lavoratori e dei cittadini. Si è fatto tanto rumore per nulla. C’era Landini con quelli che si spacciano per gli eredi della Sinistra italiana, erano li, in prima fila, fieri di aver creato disagi, di aver bloccato la vita delle persone, senza spostare di un millimetro la realtà.

Il sindacato, che da sempre vive intrecciato con la politica più che con i lavoratori, oggi è solo l’ombra di sé stesso: una macchina che brucia energie senza produrre più nulla, una caricatura di quel che fu. Non rappresenta più nessuno se non sé stesso, non difende interessi reali, non costruisce futuro.

È diventato un cancro silenzioso: per il governo, che deve trattare con un interlocutore svuotato ma ancora ingombrante; per i lavoratori, che vengono illusi da chi non ha più potere né idee; per la società intera, che paga il prezzo di una rappresentanza malata, incapace di sparire ma anche di servire. C’era una volta il sindacato, sì. Oggi c’è solo la sua ombra.


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