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Pentole vuote, bugie piene: l’inganno felice dei Propal

Aldo Torchiaro

Tempo di Lettura: 3 min
Pentole vuote, bugie piene: l’inganno felice dei Propal

Una recente inchiesta di ILTV News – rete televisiva israeliana in lingua inglese specializzata in notizie di politica estera, sicurezza e disinformazione – ha svelato l’ennesima messinscena orchestrata da Hamas per manipolare l’opinione pubblica internazionale: finte scene di fame a Gaza, costruite ad arte per commuovere, indignare e orientare il giudizio dei media occidentali.

Il caso emblematico riguarda il fotografo Anas Zayed Fatiyeh, legato a un media turco vicino al presidente Erdoğan. Secondo quanto ricostruito, Fatiyeh avrebbe diretto una protesta artificiale denominata “Hunger Campaign in Gaza”, in cui alcuni individui posavano con pentole vuote per simulare l’emergenza umanitaria. Non ricevendo sufficiente attenzione, gli organizzatori hanno introdotto anche donne e bambini per aumentare l’impatto emotivo. Tutto questo si è svolto nel sud della Striscia, in aree saldamente controllate da Hamas, dove ogni produzione mediatica è attentamente supervisionata dal gruppo terroristico.

Lo schema è noto, rodato, ed efficace: creare immagini false ma verosimili, infilarci dentro un’innocenza manipolata – un neonato, un volto impaurito – e poi gettarle nel mare aperto dei social e delle redazioni europee, dove si trasformano in verità virale. Funziona: la narrazione del popolo affamato ottunde la memoria del 7 ottobre, cancella gli ostaggi, cancella le responsabilità.

Gli analisti parlano chiaro: Hamas sfrutta queste immagini coreografate per costruire una narrazione falsa, che occulti il blocco degli aiuti da parte del gruppo stesso e le attività terroristiche condotte con cinismo sotto la copertura di ospedali, scuole e infrastrutture civili. L’obiettivo non è informare, ma avvelenare. Non raccontare, ma incendiare. E così, mentre il mondo si commuove per una pentola vuota, nessuno si domanda che fine faccia il cibo inviato, chi lo intercetti, chi lo rivenda, chi lo usi come leva politica contro la propria stessa popolazione.

Ma il problema più grande non è la propaganda in sé. È la disponibilità dell’Occidente ad abboccare. È il bisogno patologico di trovare un oppresso da difendere, anche a costo di ignorare la realtà. È la rimozione selettiva delle verità scomode, la fuga dalla complessità, l’affidarsi cieco a una lacrima fotografata, a un frame costruito per eludere il pensiero critico.

È un inganno felice, come nell’opera di Rossini: non c’è solo il talento dell’ingannatore, c’è la predisposizione – e in fin dei conti la volontà, la propensione – dell’ingannato a farsi ingannare.

Nel teatrino di Gaza, Hamas è regista, attore e produttore. Ma il pubblico siamo noi. E la standing ovation con cui accogliamo ogni nuova bugia, ogni nuova trappola mediatica, ci rende complici. Complici del silenzio sugli ostaggi. Complici dell’odio che brucia le sinagoghe in Europa. Complici del terrorismo che si traveste da umanitarismo.


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