Oggi alle 9 del mattino, a Roma, si apre il congresso nazionale della Federazione delle Associazioni Italia-Israele, presieduta da Bruno Gazzo. Una giornata ad alta intensità politica e culturale, con collegamenti in diretta con giornalisti di primo piano, due panel moderati da Giulia Sorrentino e Aldo Torchiaro, direttore del sito Setteottobre, e un momento particolarmente atteso: la consegna di un riconoscimento speciale a Giovan Battista Brunori, inviato Rai a Gerusalemme, premiato per il coraggio del suo lavoro quotidiano in una delle aree più delicate del mondo.
Ospite d’onore del congresso è l’ambasciatore israeliano in Italia e San Marino, Jonathan Peled, che in una lunga conversazione con Il Messaggero ha affrontato senza giri di parole la fase politica e diplomatica che Israele sta attraversando dopo la tregua a Gaza. Peled premette che con il governo italiano non esiste alcun problema: «Dopo il 7 ottobre ci ha sempre supportato». La vera sfida, oggi, si colloca altrove, nel rapporto con l’opinione pubblica e con il sistema mediatico europeo, investiti da una ondata di disinformazione, distorsioni e attivismo ideologizzato.
L’ambasciatore individua un asse critico che parte dalle scuole e dalle università, passa per l’informazione e arriva fino al mondo dello sport, dove non sono mancati casi di boicottaggio verso squadre israeliane di basket e calcio. La tregua in vigore da oltre un mese, sottolinea, non ha modificato l’atteggiamento dei gruppi che per settimane hanno riempito le piazze dichiarandosi filogaza. Secondo Peled, quei manifestanti hanno mostrato il loro volto reale: «Non erano pro-palestinesi, erano anti-israeliani». È come se la notizia del cessate il fuoco non fosse mai arrivata in Italia e in Europa; i gruppi anti-establishment e pro-Pal, spesso con infiltrazioni islamiste, restano «non allineati ai fatti» e considerano irrilevante ciò che accade davvero sul terreno, mentre le manifestazioni continuano a essere violente.
Sul fronte militare e umanitario, Peled chiarisce che Israele ha già completato la fase 1 del piano per Gaza: «Ci siamo ritirati dietro la linea gialla, abbiamo fermato il fuoco, consentito il passaggio degli aiuti umanitari». Hamas, secondo l’intesa, avrebbe dovuto rilasciare tutti gli ostaggi, vivi o morti, in 72 ore; le ultime salme però non sono ancora state restituite. Finché la fase attuale non sarà portata a compimento, non sarà possibile procedere alla successiva.
Un nodo decisivo riguarda il disarmo di Hamas, che l’ambasciatore considera parte integrante del percorso politico e di sicurezza. Peled osserva che gli Stati Uniti giocheranno un ruolo chiave, spiegando come «il presidente Trump stia mettendo sul tavolo tutta la sua capacità di pressione». Se Hamas non deporrà volontariamente le armi, «l’uso della forza potrà competere solo a Israele, con l’appoggio di Trump e della coalizione». L’ambasciatore non nasconde che dopo la guerra vi sarà un’indagine pubblica sugli errori del 7 ottobre e sulla risposta militare: una commissione nazionale per analizzare fallimenti e decisioni, «ma questo è un dibattito interno, non cambierà i fatti».
Peled lancia poi un monito all’Europa: molti governi occidentali, anche quelli più critici, comprendono che Israele sta combattendo una battaglia che riguarda l’intero Occidente, difendendolo dal terrorismo. «L’Europa deve svegliarsi e realizzare che quello che ha dovuto vivere Israele un giorno potrebbe essere affrontato dai suoi cittadini».
Sul fronte economico e tecnologico, l’ambasciatore guarda già alla fase successiva. Con il pieno ristabilimento dei viaggi, «saremo in grado di rilanciare commercio, turismo, tecnologia». Il rapporto con l’Italia è descritto come solido e reciprocamente vantaggioso: una collaborazione G2G intensa, che va “scongelata” nell’interesse comune. Peled ricorda che «anche durante la guerra gli israeliani hanno continuato a venire in Italia, un milione di presenze ogni anno». E aggiunge che gli amici veri restano tali nei tempi difficili, citando proprio Italia e Stati Uniti come esempi di alleanze che non si incrinano nelle crisi. Il problema, ribadisce, sono le opinioni pubbliche: «Non sono dalla nostra parte, dobbiamo riconquistare le loro menti e i loro cuori». Israele, afferma, è stata ammirata come democrazia vibrante, “startup nation”, Paese capace di far fiorire il deserto; oggi occorre ricordare al mondo quanto il contributo israeliano nei campi dell’energia, della scienza e della tecnologia resti enorme rispetto alla sua dimensione geografica.
Duro il giudizio di Peled sulla recente elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York. L’ambasciatore dice di non capire «come abbiano potuto votare per quest’uomo» e legge il risultato come una reazione contraria al trumpismo e alla destra in un’America «molto polarizzata». Nella sua opinione, uno dei problemi centrali della società contemporanea è «la mancanza di informazione reale». Non si può costruire un’educazione democratica «attraverso TikTok, Facebook, Twitter», cioè affidando la formazione politica a flussi comunicativi brevi, emotivi, manipolabili.
Infine, lo scenario regionale più ampio. Per Peled, l’estensione degli Accordi di Abramo ad Arabia Saudita e Indonesia sarebbe «un risultato molto importante». Le 24 nazioni coinvolte nel piano Trump condividono lo stesso obiettivo: «sconfiggere terrorismo ed estremismo islamico». Solo una volta fatti passi avanti reali in questa direzione si potrà discutere seriamente di una soluzione per i palestinesi. «Come verrà definita è ancora presto per dirlo», premette, ma resta la convinzione che «dobbiamo imparare a vivere in pace, fianco a fianco».
Le parole dell’ospite d’onore del congresso risuonano oggi a Roma in un contesto che va ben oltre la dimensione associativa. Il congresso della Federazione Italia-Israele diventa un laboratorio politico e culturale sulla sicurezza, sulla verità dei fatti, sull’antisemitismo contemporaneo e sulla capacità dell’Occidente di contrastare le distorsioni narrative che avvelenano il dibattito pubblico. Il premio a Giovan Battista Brunori riconosce il valore di un giornalismo che non si limita alle ricostruzioni da studio, ma racconta i luoghi del conflitto con rigore e responsabilità. È anche questo, nelle parole e nei gesti di oggi, il significato profondo dell’alleanza tra Italia e Israele: una comune difesa della democrazia, sui campi di battaglia e nello spazio dell’informazione.
Peled: «La nostra sfida è l’opinione pubblica». Oggi a Roma il congresso Italia-Israele
Peled: «La nostra sfida è l’opinione pubblica». Oggi a Roma il congresso Italia-Israele

