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Pacifismo strabico: perché Gaza accende i cuori e l’Ucraina li spegne

Giuliano Cazzola

Tempo di Lettura: 5 min
Pacifismo strabico: perché Gaza accende i cuori e l’Ucraina li spegne

Nel momento in cui scrivo, tra mille difficoltà, nella Striscia di Gaza è appena iniziato il percorso di pace indicato nella Proposta in 20 punti del presidente Donald Trump. A migliaia di chilometri di distanza, intanto, sull’Ucraina continuano a cadere ogni notte centinaia di missili e droni russi, progettati per demolire infrastrutture civili e raggiungere le famiglie nelle loro case. L’obiettivo dichiarato di Mosca è fiaccare il morale di un popolo che resiste da oltre 1320 giorni.

L’avvio di una normalizzazione in Palestina potrebbe far immaginare che il pacifismo militante italiano – così acceso quando si tratta di Gaza – trasferisca almeno parte della sua energia verso la ricerca di una pace “giusta” anche nel conflitto russo-ucraino. Un aggettivo, “giusta”, che molti consideravano superfluo quando si parlava di Ucraina, salvo poi farlo diventare di uso comune solo nel caso di Gaza.
Ma non è andata così: gli ucraini, anche se bambini, donne e anziani, sembrano essere percepiti come figli di un dio minore.

Le famiglie sfollate nelle cantine di Kyiv non commuovono come quelle rifugiate nei tunnel di Gaza. Le colonne di profughi ucraini, accolte con operativa solidarietà dai Paesi europei, non smuovono la stessa emotività delle immagini mediorientali. Le manifestazioni di sostegno all’Ucraina non hanno mai sfiorato il pathos – né la frequenza – di quelle per la Palestina. Quando si scendeva in piazza per Kyiv, lo slogan non era “Ucraina libera dal fiume al mare”, ma un invito a “non inviare armi”, a “lasciar lavorare la diplomazia”, ovvero la diplomazia della resa.

Dopo il pogrom del 7 ottobre 2023, e con la conseguente reazione israeliana, l’Ucraina è scivolata rapidamente dall’indifferenza all’ostilità: una seccatura, quasi una colpa degli aggrediti. A irritare non era l’invasione russa, ma gli ucraini che non volevano arrendersi e continuavano a chiedere armi. Meglio sarebbe stato, per molti, che sventolassero subito la bandiera bianca.

Per comprendere questa forbice emotiva si sono chiamate in causa diverse spiegazioni, nessuna sufficiente se presa da sola. L’Occidente – osserva Cazzola – sembra soffrire una nuova “sindrome di Stoccolma”: un masochismo politico che porta a simpatizzare con gli aggressori, giustificando la Russia in nome della “complessità geopolitica” e negando al tempo stesso ogni possibile ragione a Israele.

Il risultato è paradossale: Putin diventa, dopo il 24 febbraio 2022, una figura tragica, quasi un nuovo Ivan il Terribile impegnato nella missione storica della Madre Russia. Gli ex comunisti, che un tempo lo disprezzavano per aver smontato il socialismo reale insieme a Eltsin, lo riabilitano come ultimo baluardo contro l’Occidente. Poco importa che l’attuale regime non abbia più nulla di socialista e finanzi movimenti nazifascisti in Europa.

Sul versante palestinese riemerge invece il fiume carsico dell’antisemitismo, reso più aggressivo dallo smarrimento della memoria storica e dalla potenza virale dei social. Dopo il 7 ottobre, nota Cazzola, gli ebrei italiani sono tornati a essere percepiti come “stranieri”, membri di una comunità della Diaspora, improvvisamente separata dal resto del Paese. Nessuno se la prende con i cittadini russi per le stragi di Putin, o con i 14mila iraniani residenti in Italia per le impiccagioni degli ayatollah. Con gli ebrei, invece, scatta sempre quel “di più” identitario, quella colpa originaria tramandata nei secoli e riattivata oggi con impressionante facilità.

Il ruolo dei media in questo ritorno dell’odio è decisivo. Goebbels sosteneva che bastasse ripetere una menzogna all’infinito per farla diventare verità, e nell’epoca delle guerre in diretta la dimostrazione è quotidiana. La copertura dei conflitti racconta molto del nostro sguardo: in Gaza, telecamere puntate sui cadaveri dei bambini; in Ucraina, quasi mai immagini delle vittime, ma pompieri tra le macerie. E intanto proliferano talk show che “equivalgono” aggressori e aggrediti, proprio come era accaduto con i no vax durante la pandemia.

Quando le stragi di Bucha vennero alla luce, c’era persino chi sosteneva che fosse tutto un set cinematografico. Quando Bruxelles impose sanzioni, la scena pubblica si riempì di aziende lamentose, sostenute da commentatori che suggerivano di “tornare al gas russo” per risolvere tutto. E anche quando si decise di armare Kyiv, la retorica del “burro, non cannoni” tornò popolare, benedetta perfino da una parte del clero.

La distorsione cresceva mentre il fronte mediatico su Gaza prendeva forma: Israele, pur avendo vinto sul terreno contro Hamas, perdeva ogni giorno sui social e nei talk show. Le immagini del pogrom del 7 ottobre non furono diffuse per la loro efferatezza, ma ciò bastò ai critici per accusare Israele di essersela “cercata”, di essere una potenza coloniale cui spettava una punizione storica.

Gli stessi che chiedono di non cedere un centimetro nella Striscia, sostiene Cazzola, sono spesso pronti a concedere territori ucraini alla Russia “per chiudere la partita”. Lo stesso doppiopesismo si ritrova nelle manifestazioni: cortei “pacifici” con slogan che incitano all’odio, bambini addestrati a recitare “Palestina libera dal fiume al mare”, una “pedofilia ideologica” che trasforma quelle piazze nei più grandi raduni antisemiti degli ultimi decenni.

Mentre la “flotilla” veniva trattata come un reality eroico, un convoglio ferroviario italiano diretto in Ucraina con aiuti umanitari – 110 volontari a bordo – veniva ignorato persino dai bollettini parrocchiali. Al ritorno, trovatisi sotto un bombardamento russo, non ricevettero neppure un comunicato di solidarietà dalla Cgil.

È in questo scenario schizofrenico che si consuma il pacifismo strabico denunciato da Cazzola: un pacifismo che non chiede pace, ma resa; non protegge i civili, ma li classifica; non condanna gli aggressori, ma li giustifica; non denuncia l’antisemitismo, ma lo sdogana.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: due guerre, due pesi e due misure. E un’Europa che rischia di perdere non solo la memoria, ma anche la capacità di riconoscere la verità quando la vede.


Pacifismo strabico: perché Gaza accende i cuori e l’Ucraina li spegne
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