Oxfam si presenta come una delle grandi sentinelle morali del nostro tempo: aiuti umanitari, lotta alla povertà, difesa dei diritti. Ma negli ultimi anni l’organizzazione è diventata protagonista di una contraddizione gigantesca. Da una parte, lo scandalo di Haiti: dirigenti che usano fondi destinati alle vittime per organizzare festini con prostitute — forse minorenni — e una gestione interna che preferisce coprire piuttosto che denunciare. Dall’altra, una militanza politica sempre più marcata, con un bersaglio privilegiato: Israele. Ed è qui che la storia diventa ancora più clamorosa.
Mentre Yahya Sinwar, capo di Hamas a Gaza, costruiva una struttura di terrore che usa i civili come scudi, sequestra gli aiuti e devasta le infrastrutture della Striscia, Oxfam produceva rapporti e campagne in cui Israele veniva presentato come responsabile pressoché unico della crisi umanitaria. I monitoraggi indipendenti mostrano un modello preciso: linguaggio da tribunale morale contro Gerusalemme, silenzi o minimizzazioni sulle responsabilità del regime di Hamas. Un’asimmetria che non è tecnica: è politica.
Nel pieno delle crisi più recenti, mentre Sinwar ordinava attacchi, accumulava missili sotto le scuole e impediva alla popolazione di fuggire dai combattimenti, Oxfam diffondeva comunicati dove l’enfasi era tutta sul “blocco”, sull’“apartheid”, sulle “restrizioni israeliane”. Nessun accenno — o quasi — al fatto che gli aiuti internazionali venivano sistematicamente requisiti da Hamas per alimentare la propria macchina militare. Nessuna analisi del ruolo criminale di un’organizzazione che ha trasformato Gaza in un arsenale. Israele sempre al centro dell’atto d’accusa; Sinwar appena sullo sfondo.
Il paradosso diventa ancora più evidente leggendo le critiche rivolte a Israele quando, dopo attacchi sanguinari, cercava di impedire a Hamas di sottrarre carburante e materiali umanitari. Come se la responsabilità della miseria palestinese ricadesse solo su chi tenta di proteggere i civili da un gruppo terroristico, e non anche — soprattutto — su chi li usa come carne da propaganda. Quando una ONG evita sistematicamente di nominare la causa diretta del disastro, diventa parte del problema che dice di voler risolvere.
Le piattaforme di analisi hanno inoltre documentato un altro lato oscuro: Oxfam ha collaborato con organizzazioni che sostengono apertamente campagne di boicottaggio contro Israele; ha costruito dossier basati su fonti militanti; in alcuni casi ha adottato una retorica indistinguibile da quella delle ONG impegnate nella delegittimazione dello Stato ebraico. Non è un incidente: è un orientamento consolidato, che ha finito per cancellare ogni distinzione tra aiuto umanitario e attivismo politico.
Nel frattempo, nel cuore del suo apparato, Oxfam non riusciva nemmeno a garantire la sicurezza delle persone che avrebbe dovuto proteggere. Lo scandalo di Haiti, e quelli successivi in Africa, rivelano un sistema incapace di controllare il proprio personale, pronto a blindarsi dietro la reputazione mentre distoglie lo sguardo dalle proprie responsabilità.
Il risultato è un cortocircuito etico. Un’organizzazione nata per difendere i vulnerabili ha scelto di raccontare il Medio Oriente con una lente che assolve chi opprime — Sinwar — e accusa chi tenta di impedirgli di farlo — Israele. Una ONG che investe più energie nel denunciare Gerusalemme che nel denunciare un gruppo che usa gli ospedali come bunker ha perso la bussola morale. Forse non definitivamente, ma abbastanza da meritare una riflessione dura e onesta.
Perché quando un attore potente dell’umanitario ignora il ruolo dei carnefici, finisce per colpire chi prova a fermarli. E allora non è più aiuto: è complicità truccata da presunte buone intenzioni.
Oxfam, Sinwar e il bersaglio fisso: Israele
Oxfam, Sinwar e il bersaglio fisso: Israele

